Dentro l’Aquarius dei migranti

Storie e Notizie N. 1583

C’era una volta un Acquario.
Considerato dai più come uno strano tipo di contenitore.
Di natura viaggiante, per dirne una.
Di un cammino possibilmente perenne, a dirla tutta.
A meno di non sparire all’orizzonte, o al meglio per molti, al di sotto di quest’ultimo.
Nel frattempo osserviamo, ci soffermiamo con lo sguardo o ci voltiamo immediatamente, perché il tempo è poco e l’empatia ancor meno.
Ciò malgrado, parliamo e scegliamo.
La rotta e il destino, la pagina seguente e addirittura la fine della storia.
È banale, la morale di quest’ultima, come spesso accade.
È scontato, il messaggio, assolutamente secondo copione.
Ed è incredibilmente retorica, la postfazione a quella che non è altro che l’esatta, amara fotografia della vita moderna.


Dove per tanti, indubbiamente troppi, esistere non è altro che assistere allo spettacolo delle disgrazie altrui, attribuendosi indebitamente il ruolo di registi e sceneggiatori senza essersi mai mossi dalla poltrona in platea.
Le creature intrappolate nella boccia prigione nuotano nel loro gramo destino, ma la pacchia è finita.
Esseri umani stremati dalla fame e la sete si fan forza l’un l’altro in questo infame incubo, ma alzare la voce paga.
Se non uomini, donne e bambini lottano per sopravvivere tra il caldo e le malattie, ma noi abbiamo il rosario in tasca, siamo coerenti con gli insegnamenti del Vangelo.
Niente di nuovo, il disegno.
Roba già vista, la scena.
Riprodotta ovunque, la grottesca metafora.
Nella forma di un gigantesco reality show, dove i riflettori che contano son puntati sui commentatori e gli ospiti vip, ancorché i concorrenti.
Trattasi di trasmissione di successo planetario, con tutti gli ingredienti del caso, ovvero l’attualità più popolare e altrettanto manipolabile, con la condizione che unisce il mondo: tutti possono dire la propria, tutti possono condividere, tutti devono farlo, ma, soprattutto, ciascuno degli invitati al circo mediatico potrà eliminare i protagonisti mal tollerati con un rapido, digitale pollice verso.
Viva l’Acquario migrante, perciò.
Che sia benedetto l’intrattenimento più in voga, oggi giorno.
Che lo siano altrettanto gli abitanti, giocattoli viventi nelle mani di un’umanità regredita alla fase più brutale della propria scellerata involuzione.
Nondimeno, me ne scuso, se il racconto sia del tutto ordinario.
Perdonate se l’essenza di quest’ultimo sia totalmente priva di originalità.
Mi dispiace, e non sapete quanto, se la conclusione si dimostrerà inguaribilmente consueta.

Ma è la vita che ci raccontiamo e che incessantemente condividiamo, a esserlo.
Di un ammasso di spettatori non paganti, ignoranti e deliranti innanzi a un Acquario frainteso, ottusamente frainteso.


Non una vasca di vetro con dei pesci, per quanto anch’essi vittime dell’idiozia umana.
Bensì una costellazione tra le più antiche, composta da miriadi di astri nati per illuminare cielo e terra come tutti noi, del resto.
Eppure, nulla di straordinario nel quadro, dicevo.
Di trame già note, l’intreccio.
Invano ripetuta in ogni epoca, la didascalia.
Ovvero, solo chi sa cosa voglia dire vivere nell’acquario dovrebbe aver diritto di parola…




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