Trump Kim Jong-un incontro maggio 2018: storia del populista e il dittatore
Storie e Notizie N. 1560
Pare che Donald Trump abbia accettato di incontrare il leader nordcoreano Kim Jong-un prima di maggio. L’indiscrezione viene da un funzionario sud coreano dopo un meeting alla Casa Bianca. Sarebbe la prima volta che un presidente degli Stati Uniti in carica incontrerà il leader della Corea del Nord.
C’erano una volta un populista e un dittatore.
Il populista disse: “Ascolta, non ci crederai, ma io sono il capo del mio paese.”
“Davvero?” fece il dittatore. “Pure io!”
“Sì, d’accordo, ma non sai come lo sono diventato, capo.”
“Dimmi”, rispose il dittatore, “ma sbrigati, che devo andare a far votare altre leggi per aumentare il mio potere.”
“Pure io!” esclamò il populista. “A ogni modo, ti parlavo di come sono diventato capo. Allora, primo, mi sono chiesto: chi sono i miei potenziali elettori?”
“Io li chiamo sudditi.”
“Anche io! Ma non a microfoni accesi, ovviamente. Ciò che conta di più, però, è che mi sono fatto la suddetta domanda e ho così risposto: i miei potenziali elettori sono tutti, perché io devo parlare a tutti, e allora devo usare parole semplicissime, che chiunque possa capire.”
“Obbedire.”
“Prego?”
“Non capire, obbedire. Io lo preferisco.”
“Sì, certo, anche per me è lo stesso!”
“Ed è bastato questo?”
“No, quello è stato il primo passo. Secondo, una volta compreso che devo parlare a tutti e devo usare parole semplicissime, mi sono chiesto: cosa devo dire alle persone?”
“E cos’hai capito?”
“Che devo dire roba che metta le une contro le altre e che, soprattutto, fomenti le loro più ottuse paure.”
“Ma dai… io non penso altro, figurati se non lo dico ai miei cittadini. E poi?”
“E poi il terzo punto, fondamentale.”
“Sarebbe?”
“Una volta eletto, devo capire meglio chi sono i miei nemici.”
“Per me è facile, sono un dittatore, quindi i miei nemici sono i democratici.”
“In teoria dovrebbero essere anche i miei, ma nella pratica…”
“In che senso?”
“No, niente, è solo che dalle mie parti le cose sono un po’ più confuse, quindi mi baso sui fatti.”
“Ovvero?”
“I miei nemici sono quelli e solo quelli che davvero mi rendono la vita difficile.”
“E una volta individuati?”
“Qui è semplice: faccio di tutto, ma davvero di tutto, per convincerli di essere soli. Non devono sapere se ci siano e quanti siano coloro che la pensano allo stesso modo. Non devono guardarsi in faccia e soprattutto contarsi.”
“Io ho un metodo infallibile.”
“E quale sarebbe?”
“Li chiudo in una cella di isolamento, a meno che non li elimini definitivamente. Voglio vedere come fanno a guardarsi e contarsi, poi. Mi sa che non siamo poi così lontani, tu e io.”
“Scherzi? Io sono populista, ma pur sempre a capo di una grande repubblica, abitata da cittadini con libertà di parola e pensiero.”
“E cosa vuol dire?”
“Vuol dire che la gente deve continuare a credere che tu sia totalmente diverso da me.”
“Perché?”
“Perché è il concetto alla base del potere di un populista.”
“Quale concetto?”
“Che i cattivi sono sempre gli altri, e noi siamo gli unici buoni.”
“Be’, amico, non hai idea di quanto questo ci renda ancora più simili...”
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Pare che Donald Trump abbia accettato di incontrare il leader nordcoreano Kim Jong-un prima di maggio. L’indiscrezione viene da un funzionario sud coreano dopo un meeting alla Casa Bianca. Sarebbe la prima volta che un presidente degli Stati Uniti in carica incontrerà il leader della Corea del Nord.
C’erano una volta un populista e un dittatore.
Il populista disse: “Ascolta, non ci crederai, ma io sono il capo del mio paese.”
“Davvero?” fece il dittatore. “Pure io!”
“Sì, d’accordo, ma non sai come lo sono diventato, capo.”
“Dimmi”, rispose il dittatore, “ma sbrigati, che devo andare a far votare altre leggi per aumentare il mio potere.”
“Pure io!” esclamò il populista. “A ogni modo, ti parlavo di come sono diventato capo. Allora, primo, mi sono chiesto: chi sono i miei potenziali elettori?”
“Anche io! Ma non a microfoni accesi, ovviamente. Ciò che conta di più, però, è che mi sono fatto la suddetta domanda e ho così risposto: i miei potenziali elettori sono tutti, perché io devo parlare a tutti, e allora devo usare parole semplicissime, che chiunque possa capire.”
“Obbedire.”
“Prego?”
“Non capire, obbedire. Io lo preferisco.”
“Sì, certo, anche per me è lo stesso!”
“Ed è bastato questo?”
“No, quello è stato il primo passo. Secondo, una volta compreso che devo parlare a tutti e devo usare parole semplicissime, mi sono chiesto: cosa devo dire alle persone?”
“E cos’hai capito?”
“Che devo dire roba che metta le une contro le altre e che, soprattutto, fomenti le loro più ottuse paure.”
“Ma dai… io non penso altro, figurati se non lo dico ai miei cittadini. E poi?”
“E poi il terzo punto, fondamentale.”
“Sarebbe?”
“Una volta eletto, devo capire meglio chi sono i miei nemici.”
“Per me è facile, sono un dittatore, quindi i miei nemici sono i democratici.”
“In teoria dovrebbero essere anche i miei, ma nella pratica…”
“In che senso?”
“No, niente, è solo che dalle mie parti le cose sono un po’ più confuse, quindi mi baso sui fatti.”
“Ovvero?”
“I miei nemici sono quelli e solo quelli che davvero mi rendono la vita difficile.”
“E una volta individuati?”
“Qui è semplice: faccio di tutto, ma davvero di tutto, per convincerli di essere soli. Non devono sapere se ci siano e quanti siano coloro che la pensano allo stesso modo. Non devono guardarsi in faccia e soprattutto contarsi.”
“Io ho un metodo infallibile.”
“E quale sarebbe?”
“Li chiudo in una cella di isolamento, a meno che non li elimini definitivamente. Voglio vedere come fanno a guardarsi e contarsi, poi. Mi sa che non siamo poi così lontani, tu e io.”
“Scherzi? Io sono populista, ma pur sempre a capo di una grande repubblica, abitata da cittadini con libertà di parola e pensiero.”
“E cosa vuol dire?”
“Vuol dire che la gente deve continuare a credere che tu sia totalmente diverso da me.”
“Perché?”
“Perché è il concetto alla base del potere di un populista.”
“Quale concetto?”
“Che i cattivi sono sempre gli altri, e noi siamo gli unici buoni.”
“Be’, amico, non hai idea di quanto questo ci renda ancora più simili...”
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