Mi piace pensare
Storie e Notizie N. 1558
Leggo che gigantesche colonie di un milione e mezzo di pinguini sono state scoperte in Antartide, rivelando un’area remota divenuta rifugio vitale per la fauna selvatica colpita dai cambiamenti climatici e dalla pesca eccessiva.
Rifugio vitale, vite rifugiate, rifugiati ancora vivi, malgrado tutto.
Tale libera associazione mi invita a pensare.
A ciò che mi piace…
Mi piace pensare.
Mi piace a prescindere, perché spesso è questo, ciò che è la mia mente, per me.
Un rifugio, in cui mettere al sicuro vita.
E allora, leggendo dei pinguini, sperando che la notizia della suddetta scoperta non giunga alle orecchie di coloro che in qualche modo potrebbero attentare alla loro sopravvivenza, mi piace pensare altro.
Difatti, mi piace pensare che da qualche parte, là fuori, tra le pieghe del mondo conosciuto, si nascondano ulteriori colonie.
Sussurrandolo a voce umile, per non destar il maledetto mostro divora utopie, di natura prettamente umana.
Mi piace, già, l’idea che tali nostri misteriosi simili siano dei viaggiatori senza approdo, fino a prova contraria, e che quest’ultima non arrivi mai a darcene pubblica evidenza sulle nostre rive.
Ma non per dissolversi dalla pagina perché inghiottiti dall’ennesimo, crudele flutto, bensì perché la loro storia sta proseguendo su altri lidi, al di là della nostra inaridita empatia.
Mi piace pensarlo.
Che ci siano eccezioni all’ingiusta sceneggiatura del mondo, ove scampoli di sopravvivenza fattasi miracolosamente vita, ci siano sfuggiti, per loro buona sorte.
Mi piace pensare, l’ho detto.
E, laddove insista nel peraltro comune atto, sono incline a voltar spalle e criterio alla sentenza reale, lo ammetto.
Di conseguenza, a cavallo di codesta fugace andatura, mi piace pensare alla parola fine, incisa una volta per tutte con inchiostro che sia di ogni tipo di rosso, fuorché il sangue delle vittime innocenti.
Un solo, semplice lemma, d’accordo, ma di immenso potere al cospetto delle più orrende narrazioni a cui stiamo assistendo al riparo di comode poltrone con braccioli.
Fine della guerra, fine delle violenze, fine dei massacri, fine, infine, di ogni abominio tollerato, là fuori.
All’esterno dell’ingenuo rimedio che chiamo pensiero.
Ciò che mi piace, altresì, è il diritto di pensare a ciò che mi piace, che diviene talvolta dovere, nelle giornate meno ottimiste.
Perché altrimenti, non potrei scriverne, e molti altri, ben più pratici del sottoscritto, non avrebbero potuto trovare l’ardire di metter fondamenta al di sotto di quei benedetti castelli svolazzanti.
Così, mi piace pensare, dicevo.
Mi piace pensare, a questo punto del racconto.
Che alcuni di siffatti costruttori di illogiche, improbabili eppur concrete meraviglie.
Sian passati di qui.
Leggo che gigantesche colonie di un milione e mezzo di pinguini sono state scoperte in Antartide, rivelando un’area remota divenuta rifugio vitale per la fauna selvatica colpita dai cambiamenti climatici e dalla pesca eccessiva.
Rifugio vitale, vite rifugiate, rifugiati ancora vivi, malgrado tutto.
Tale libera associazione mi invita a pensare.
A ciò che mi piace…
Mi piace pensare.
Mi piace a prescindere, perché spesso è questo, ciò che è la mia mente, per me.
Un rifugio, in cui mettere al sicuro vita.
E allora, leggendo dei pinguini, sperando che la notizia della suddetta scoperta non giunga alle orecchie di coloro che in qualche modo potrebbero attentare alla loro sopravvivenza, mi piace pensare altro.
Difatti, mi piace pensare che da qualche parte, là fuori, tra le pieghe del mondo conosciuto, si nascondano ulteriori colonie.
Sussurrandolo a voce umile, per non destar il maledetto mostro divora utopie, di natura prettamente umana.
Mi piace, già, l’idea che tali nostri misteriosi simili siano dei viaggiatori senza approdo, fino a prova contraria, e che quest’ultima non arrivi mai a darcene pubblica evidenza sulle nostre rive.
Ma non per dissolversi dalla pagina perché inghiottiti dall’ennesimo, crudele flutto, bensì perché la loro storia sta proseguendo su altri lidi, al di là della nostra inaridita empatia.
Mi piace pensarlo.
Che ci siano eccezioni all’ingiusta sceneggiatura del mondo, ove scampoli di sopravvivenza fattasi miracolosamente vita, ci siano sfuggiti, per loro buona sorte.
Mi piace pensare, l’ho detto.
E, laddove insista nel peraltro comune atto, sono incline a voltar spalle e criterio alla sentenza reale, lo ammetto.
Di conseguenza, a cavallo di codesta fugace andatura, mi piace pensare alla parola fine, incisa una volta per tutte con inchiostro che sia di ogni tipo di rosso, fuorché il sangue delle vittime innocenti.
Un solo, semplice lemma, d’accordo, ma di immenso potere al cospetto delle più orrende narrazioni a cui stiamo assistendo al riparo di comode poltrone con braccioli.
Fine della guerra, fine delle violenze, fine dei massacri, fine, infine, di ogni abominio tollerato, là fuori.
All’esterno dell’ingenuo rimedio che chiamo pensiero.
Ciò che mi piace, altresì, è il diritto di pensare a ciò che mi piace, che diviene talvolta dovere, nelle giornate meno ottimiste.
Perché altrimenti, non potrei scriverne, e molti altri, ben più pratici del sottoscritto, non avrebbero potuto trovare l’ardire di metter fondamenta al di sotto di quei benedetti castelli svolazzanti.
Così, mi piace pensare, dicevo.
Mi piace pensare, a questo punto del racconto.
Che alcuni di siffatti costruttori di illogiche, improbabili eppur concrete meraviglie.
Sian passati di qui.