La povertà della scelta
Storie e Notizie N. 1535
Mi chiamo Kaimah, ho dieci anni e sono povera.
Non l’ho scelto, come non ho deciso di venire al mondo.
Non posso farci niente e niente farò con quel che non dipenda da me.
Non ho tempo da perdere, io, con ciò che non posso cambiare.
L’Organizzazione mondiale della sanità e la Banca mondiale hanno dichiarato ieri che quasi cento milioni di persone al mondo sono costrette ogni anno a dover scegliere quotidianamente tra salute e cibo, tra istruzione e beni di prima necessità.
Per il resto dell’umanità cento è solo un numero, così come un milione volte tanto.
La grandezza non conta, a meno che si tratti di uno e quell’uno sia tu.
In questo caso, io scelgo, ogni giorno, di ciascuna settimana.
Lunedì ho mangiato, sì, dovevo, non ho potuto farne a meno.
Poco e con gaudio, con estrema calma e attenzione a ogni briciola che possa fuggir via.
Io ti amo, minuscolo frammento di vita commestibile.
Non lasciarmi, resta con me, in me.
Vedrai che non sprecherò ogni tuo dono.
E saprò apprezzarne il ricordo.
Ti sarò fedele, non mancherò di omaggio e rispetto.
E tu torna, ti prego.
Torna presto.
Martedì pancia vuota, è il giorno della febbre.
Il nemico nella testa che è sempre presente.
No, non è la paura, quella è roba vostra.
La fronte ribolle e il sudore imperla le tempie facendo brillare la pelle e risaltare la luce degli occhi.
Vita, urlano le mie pupille, vogliamo vita, la meritiamo, la pretendiamo e faremo di tutto per rimanere abbracciati a essa.
Coraggio, medicina che sei piovuta dal cielo, sconfiggi il mostro che dona calore in cambio di forza preziosa.
E perdonami anche tu, infame presenza, non ce l’ho con te.
Anche tu, febbre, hai ricevuto un destino gramo e non puoi evitarlo.
Vai, adesso, libera il mio corpo.
So che tornerai, ma spero il più tardi possibile.
Mercoledì e sei già qui, caro maledetto compagno.
Così come la fame, ma oggi è il momento dello studio.
Un libro, uno solo all’anno, pagine consunte, insegnamenti divorati come strofe di una poesia d’amore assoluto.
Sei tu, parola maestra, il mio biglietto per il futuro, le mie ali di saggezza e ambizione con cui fantasticare sul domani migliore.
Giovedì fermi tutti, arriva l’acqua.
E’ un sogno che si fa liquido, il vero miracolo naturale, eterno regalo di compleanno di una festa che rimpiangeremo tutti, prima o poi.
Da quel momento, iniziammo a respirare e vibrare.
E l’acqua fu, questa era la frase, ma non fu capita e come al solito scambiammo il riflesso di noi stessi per una stella immortale.
Venerdì è il dì del lavoro, i semi sono qui, la terra aspetta, noi con lei.
E quando le mani sono stanche, le dita provate dai graffi e la schiena dolorante, sollevo in alto il capo e chiudo gli occhi.
Vedo la promessa e mi fido del rumore del vento.
Prima o poi il frutto si mostrerà a noi e avremo ciò che ci spetta.
Non possiamo aver penato così tanto per nulla.
E se questo vuole il fato, che vada al diavolo anche lui.
Sabato con la fame e la febbre, niente da leggere e la sete che morde, il sacco dei semi senza semi e niente di bello da aspettarsi all’indomani.
Pensami ora, quando aprirai gli occhi in un giorno come questo e ti lamenterai per noia o semplice solitudine.
Pensami e guardami, perché il sabato io giocherò comunque.
Perché sono arrivata fin qui e mi merito di sorridere.
Eppure, a contraddir quanto detto finora, la domenica il corpo cede, l’anima pure, e io sono lì, immobile nel mio giaciglio.
No, mi dico, non posso farcela ancora.
Poi arriva mia madre, posa una mano sul mio volto e con la sua voce vellutata mi chiama.
Sollevo con voluta lentezza le palpebre.
E vedo me stessa nei suoi occhi che hanno vissuto medesimo destino.
Io sono la promessa, io sono la scelta, la sua.
Mi chiamo Kaimah, ho solo dieci anni e lo so, sono stata condannata alla povertà.
Tra cibo e salute, studio e altre essenzialità del vivere, la povertà della scelta.
Ma io non scelgo la povertà.
Io ho deciso che da grande.
Sarò viva...
Compra il mio ultimo libro, Carla senza di Noi
Leggi anche il racconto della settimana: Vietato sorridere
Leggi altre storie sulla fame nel mondo
Ascoltami cantare con la band
Guarda un estratto dello spettacolo Carla senza di Noi
Mi chiamo Kaimah, ho dieci anni e sono povera.
Non l’ho scelto, come non ho deciso di venire al mondo.
Non posso farci niente e niente farò con quel che non dipenda da me.
Non ho tempo da perdere, io, con ciò che non posso cambiare.
L’Organizzazione mondiale della sanità e la Banca mondiale hanno dichiarato ieri che quasi cento milioni di persone al mondo sono costrette ogni anno a dover scegliere quotidianamente tra salute e cibo, tra istruzione e beni di prima necessità.
Per il resto dell’umanità cento è solo un numero, così come un milione volte tanto.
La grandezza non conta, a meno che si tratti di uno e quell’uno sia tu.
In questo caso, io scelgo, ogni giorno, di ciascuna settimana.
Lunedì ho mangiato, sì, dovevo, non ho potuto farne a meno.
Poco e con gaudio, con estrema calma e attenzione a ogni briciola che possa fuggir via.
Io ti amo, minuscolo frammento di vita commestibile.
Non lasciarmi, resta con me, in me.
Vedrai che non sprecherò ogni tuo dono.
E saprò apprezzarne il ricordo.
Ti sarò fedele, non mancherò di omaggio e rispetto.
E tu torna, ti prego.
Torna presto.
Martedì pancia vuota, è il giorno della febbre.
Il nemico nella testa che è sempre presente.
No, non è la paura, quella è roba vostra.
La fronte ribolle e il sudore imperla le tempie facendo brillare la pelle e risaltare la luce degli occhi.
Vita, urlano le mie pupille, vogliamo vita, la meritiamo, la pretendiamo e faremo di tutto per rimanere abbracciati a essa.
Coraggio, medicina che sei piovuta dal cielo, sconfiggi il mostro che dona calore in cambio di forza preziosa.
E perdonami anche tu, infame presenza, non ce l’ho con te.
Anche tu, febbre, hai ricevuto un destino gramo e non puoi evitarlo.
Vai, adesso, libera il mio corpo.
So che tornerai, ma spero il più tardi possibile.
Mercoledì e sei già qui, caro maledetto compagno.
Così come la fame, ma oggi è il momento dello studio.
Un libro, uno solo all’anno, pagine consunte, insegnamenti divorati come strofe di una poesia d’amore assoluto.
Sei tu, parola maestra, il mio biglietto per il futuro, le mie ali di saggezza e ambizione con cui fantasticare sul domani migliore.
Giovedì fermi tutti, arriva l’acqua.
E’ un sogno che si fa liquido, il vero miracolo naturale, eterno regalo di compleanno di una festa che rimpiangeremo tutti, prima o poi.
Da quel momento, iniziammo a respirare e vibrare.
E l’acqua fu, questa era la frase, ma non fu capita e come al solito scambiammo il riflesso di noi stessi per una stella immortale.
Venerdì è il dì del lavoro, i semi sono qui, la terra aspetta, noi con lei.
E quando le mani sono stanche, le dita provate dai graffi e la schiena dolorante, sollevo in alto il capo e chiudo gli occhi.
Vedo la promessa e mi fido del rumore del vento.
Prima o poi il frutto si mostrerà a noi e avremo ciò che ci spetta.
Non possiamo aver penato così tanto per nulla.
E se questo vuole il fato, che vada al diavolo anche lui.
Sabato con la fame e la febbre, niente da leggere e la sete che morde, il sacco dei semi senza semi e niente di bello da aspettarsi all’indomani.
Pensami ora, quando aprirai gli occhi in un giorno come questo e ti lamenterai per noia o semplice solitudine.
Pensami e guardami, perché il sabato io giocherò comunque.
Perché sono arrivata fin qui e mi merito di sorridere.
Eppure, a contraddir quanto detto finora, la domenica il corpo cede, l’anima pure, e io sono lì, immobile nel mio giaciglio.
No, mi dico, non posso farcela ancora.
Poi arriva mia madre, posa una mano sul mio volto e con la sua voce vellutata mi chiama.
Sollevo con voluta lentezza le palpebre.
E vedo me stessa nei suoi occhi che hanno vissuto medesimo destino.
Io sono la promessa, io sono la scelta, la sua.
Mi chiamo Kaimah, ho solo dieci anni e lo so, sono stata condannata alla povertà.
Tra cibo e salute, studio e altre essenzialità del vivere, la povertà della scelta.
Ma io non scelgo la povertà.
Io ho deciso che da grande.
Sarò viva...
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