Morire di troppo vivere per poco
Storie e Notizie N. 1508
In Giappone gli ispettori hanno stabilito che la morte della giornalista Miwa Sado a soli 31 anni, avvenuta nel luglio del 2013, è stata causata da un sovraccarico di lavoro.
La donna, la quale era impiegata presso la sede dell'emittente pubblica del paese, Nippon Hōsō Kyōkai, durante il mese precedente al decesso per insufficienza cardiaca aveva registrato 159 ore di straordinari e goduto di appena due giorni di riposo.
Il caso è stato reso pubblico dal suo ex datore di lavoro solo questa settimana.
Sì, lo so ciò che pensate ora.
E’ quel che pensano tutti, dopo.
Lo farei anch’io, al vostro posto, se potessi.
Già, se potessi.
Troppo tardi, vero?
Per me, non per voi, come si suol dire.
E’ questo il gramo destino dei troppo di questo mondo.
Fungono da utile paravento per il molto e l’abbastanza, per non parlar del poco.
Che noi altri, martiri del tempo, possiamo solo invidiare.
Se avessi avuto gli occhi più grandi per scoprire l’inganno, come i personaggi dei cartoni, che assomigliano più a voi che a noi e va bene così.
Perché è la classica natura del di più non richiesto, ma che vende.
Laddove piaccia ai molti, financo troppi, tu vali niente.
Al meglio, poco.
Questo è difatti il nocciolo della questione, vero?
Da soli, questo siamo.
Tracce di nulla che danzano nel vuoto respingendoci l’un l’altra.
Eppur veloci.
E apparentemente instancabili.
E’ così che il trascurabile puntino diviene linea, la comparsa si fa storia e la stella solca il cielo e fa parlar e sognar di sé.
Se mi fossi accontentata del sufficiente.
Del minimo vivente.
Sarebbe stato comunque qualcosa di più del poco che pensavo.
Voi ci siete arrivati, vero?
Lo spero.
Vorrei esser tornata anch’io ai nastri di partenza.
Quel maledetto giorno in cui lo sparo è esploso nella mia testa, spaventando a morte le naturali melodie.
Che son poca cosa nei conti dei signori grigi dal cuore nero.
Ma mai troppo nel silenzio dei veri fortunati, sopravvissuti alla strega chiamata praticità.
Serenità, il tuo nome è invece lento.
Perché così va pronunciato.
Affinché tra il polverone sollevato dalle anime ansiose di guadagnare il dorato podio, al riparo delle sottovalutate retrovie, possa superare il pudore di esser perfetta e mostrarsi a te.
Gioisci, allora, se ancora quale ultimo cammini nella folle corsa.
Dove il denaro in tasca e i balzi in carriera, le onorificenze dall’alto e le gomitate di lato, le scrivanie più vaste e le poltrone più comode, non sono mai troppi per quel poco che c’è sotto, alla fine di tutto, quando l’illusorio sipario si chiude.
Sì, so cosa pensate adesso.
E’ logico, vero?
Farlo dopo.
Anch’io, come voi, sorriderei.
Magari con un refolo di mestizia, nel mio caso.
All’idea che c’è troppo di bello in questa vita passeggera e fragile.
Da sprecare per così poco.
Compra il mio ultimo libro, Tramonto, la favola del figlio di Buio e Luce
Leggi anche il racconto della settimana: Il super potere di Franchino
Leggi altre storie di donne
Ascolta la mia canzone La libertà
Guarda un estratto del mio spettacolo E' incredibile quello che una piccola luce può fare
In Giappone gli ispettori hanno stabilito che la morte della giornalista Miwa Sado a soli 31 anni, avvenuta nel luglio del 2013, è stata causata da un sovraccarico di lavoro.
La donna, la quale era impiegata presso la sede dell'emittente pubblica del paese, Nippon Hōsō Kyōkai, durante il mese precedente al decesso per insufficienza cardiaca aveva registrato 159 ore di straordinari e goduto di appena due giorni di riposo.
Il caso è stato reso pubblico dal suo ex datore di lavoro solo questa settimana.
Sì, lo so ciò che pensate ora.
E’ quel che pensano tutti, dopo.
Lo farei anch’io, al vostro posto, se potessi.
Già, se potessi.
Troppo tardi, vero?
Per me, non per voi, come si suol dire.
E’ questo il gramo destino dei troppo di questo mondo.
Fungono da utile paravento per il molto e l’abbastanza, per non parlar del poco.
Che noi altri, martiri del tempo, possiamo solo invidiare.
Se avessi avuto gli occhi più grandi per scoprire l’inganno, come i personaggi dei cartoni, che assomigliano più a voi che a noi e va bene così.
Perché è la classica natura del di più non richiesto, ma che vende.
Laddove piaccia ai molti, financo troppi, tu vali niente.
Al meglio, poco.
Questo è difatti il nocciolo della questione, vero?
Da soli, questo siamo.
Tracce di nulla che danzano nel vuoto respingendoci l’un l’altra.
Eppur veloci.
E apparentemente instancabili.
E’ così che il trascurabile puntino diviene linea, la comparsa si fa storia e la stella solca il cielo e fa parlar e sognar di sé.
Se mi fossi accontentata del sufficiente.
Del minimo vivente.
Sarebbe stato comunque qualcosa di più del poco che pensavo.
Voi ci siete arrivati, vero?
Lo spero.
Vorrei esser tornata anch’io ai nastri di partenza.
Quel maledetto giorno in cui lo sparo è esploso nella mia testa, spaventando a morte le naturali melodie.
Che son poca cosa nei conti dei signori grigi dal cuore nero.
Ma mai troppo nel silenzio dei veri fortunati, sopravvissuti alla strega chiamata praticità.
Serenità, il tuo nome è invece lento.
Perché così va pronunciato.
Affinché tra il polverone sollevato dalle anime ansiose di guadagnare il dorato podio, al riparo delle sottovalutate retrovie, possa superare il pudore di esser perfetta e mostrarsi a te.
Gioisci, allora, se ancora quale ultimo cammini nella folle corsa.
Dove il denaro in tasca e i balzi in carriera, le onorificenze dall’alto e le gomitate di lato, le scrivanie più vaste e le poltrone più comode, non sono mai troppi per quel poco che c’è sotto, alla fine di tutto, quando l’illusorio sipario si chiude.
Sì, so cosa pensate adesso.
E’ logico, vero?
Farlo dopo.
Anch’io, come voi, sorriderei.
Magari con un refolo di mestizia, nel mio caso.
All’idea che c’è troppo di bello in questa vita passeggera e fragile.
Da sprecare per così poco.
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