Storie sull’ambiente: il popolo degli effetti e quello delle cause
Storie e Notizie N. 1496
C’era una volta il popolo degli effetti.
A seguire, tra parentesi, senza cause, che in fase di revisione è stato cancellato.
Perché son fatti così, costoro.
Quel che confonde – loro – e costringe a porsi domande – quelle degli altri – va bandito all’istante, eliminato sul posto.
Difatti, essi vanno sempre in giro con una gomma da cancellare stretta nelle mani e il pulsante della tastiera che preferiscono è ovviamente il Canc.
Sono educati alle parole e i concetti facili sin da piccoli.
Cibo altamente digeribile per menti dalla capienza moderna, modello Ikea, con pensieri e aspirazioni che potrebbe montare – o smontare – anche un bambino.
Indi per cui, non v’è posto nella loro cervice per le ragioni delle cose.
Prendi, a esempio su tutti, questa roba del cambiamento climatico, parole loro.
A parte il fatto che tra tutte le cause innominabili è forse quella che oggigiorno maggiormente richieda una presa di responsabilità personale, e basterebbe questo per condannarla all’esilio dal loro vocabolario, ignorandola sono al contempo in grado di esibirsi in paradossali e tragicomici pindarici voli. Ovvero, più che un volo trattasi di un inesorabile precipitare nel vuoto, ma procediamo oltre.
Sicché ogni accadimento è una conseguenza priva di movente, gli uragani sempre più devastanti, la siccità e la carestia, le migrazioni umane, l’innalzamento del livello dei mari, la scomparsa di laghi e fiumi, le stagioni sballate, l’ormai quotidiana estinzione di specie animali e vegetali, ciascuna di tali terribili eventualità, avvengono, punto.
Ecco, hanno il punto facile, i nostri, rapidi ad andare a capo una frazione di secondo prima dei possibili dubbi.
Via ogni tipologia ragionevole di questi ultimi dall’orizzonte, così come le domande che al contempo puntino il dito sull’interrogato.
Alla larga dalle strade che richiedano un’anima nuova e le soluzioni che comportino delle scuse per quella vecchia.
Facile, perciò, figurarsi la giornata tipo dell’individuo medio, affrancato dalle ragioni del vivere.
Tutto è certo.
Il sole sorge ed è scontato.
Così come l’acqua potabile che scorre e la luce che obbedisca al comando del presunto padrone.
Il caldo o il freddo artificiale qualora il corpo li pretenda e, soprattutto, l’auto.
Sì, lei, la fedele amica, ovvero l’infantile mostro che succhia vita direttamente alla tetta della terra, con cui sfrecciare il più possibile lontano da ciò che resta della coscienza.
Adesso, tutto diviene più comprensibile, no?
Al netto di una follia congenita, o semplicemente nutrita sin dalla nascita, è semplice capire la scelta del pretestuale nemico, vero?
Perché è così che fa, il popolo degli effetti.
Laddove sia costretto a individuare una causa di quale tra essi lo disturbi di più, sceglie esattamente secondo la sua primitiva logica.
E quale miglior colpevole del popolo delle cause, ovvero coloro che non possono fare a meno di ignorarle, perché son quelli che gli effetti li pagano con la propria stessa vita?
C’erano una volta, quindi il popolo degli effetti e quello delle cause.
Nati per coesistere sul medesimo pianeta.
Che, come pianta e seme, son parti del medesimo ciclo vitale.
Ma, da che mondo è mondo, solo chi ha in tasca il seme.
Vedrà l’alba seguente.
Compra il mio ultimo libro, Tramonto, la favola del figlio di Buio e Luce
Leggi anche il racconto della settimana: Storia di una ragazza delle favole
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Ascolta la mia canzone La libertà
Guarda un estratto del mio spettacolo E' incredibile quello che una piccola luce può fare
C’era una volta il popolo degli effetti.
A seguire, tra parentesi, senza cause, che in fase di revisione è stato cancellato.
Perché son fatti così, costoro.
Quel che confonde – loro – e costringe a porsi domande – quelle degli altri – va bandito all’istante, eliminato sul posto.
Sono educati alle parole e i concetti facili sin da piccoli.
Cibo altamente digeribile per menti dalla capienza moderna, modello Ikea, con pensieri e aspirazioni che potrebbe montare – o smontare – anche un bambino.
Indi per cui, non v’è posto nella loro cervice per le ragioni delle cose.
Prendi, a esempio su tutti, questa roba del cambiamento climatico, parole loro.
A parte il fatto che tra tutte le cause innominabili è forse quella che oggigiorno maggiormente richieda una presa di responsabilità personale, e basterebbe questo per condannarla all’esilio dal loro vocabolario, ignorandola sono al contempo in grado di esibirsi in paradossali e tragicomici pindarici voli. Ovvero, più che un volo trattasi di un inesorabile precipitare nel vuoto, ma procediamo oltre.
Sicché ogni accadimento è una conseguenza priva di movente, gli uragani sempre più devastanti, la siccità e la carestia, le migrazioni umane, l’innalzamento del livello dei mari, la scomparsa di laghi e fiumi, le stagioni sballate, l’ormai quotidiana estinzione di specie animali e vegetali, ciascuna di tali terribili eventualità, avvengono, punto.
Ecco, hanno il punto facile, i nostri, rapidi ad andare a capo una frazione di secondo prima dei possibili dubbi.
Via ogni tipologia ragionevole di questi ultimi dall’orizzonte, così come le domande che al contempo puntino il dito sull’interrogato.
Alla larga dalle strade che richiedano un’anima nuova e le soluzioni che comportino delle scuse per quella vecchia.
Facile, perciò, figurarsi la giornata tipo dell’individuo medio, affrancato dalle ragioni del vivere.
Tutto è certo.
Il sole sorge ed è scontato.
Così come l’acqua potabile che scorre e la luce che obbedisca al comando del presunto padrone.
Il caldo o il freddo artificiale qualora il corpo li pretenda e, soprattutto, l’auto.
Sì, lei, la fedele amica, ovvero l’infantile mostro che succhia vita direttamente alla tetta della terra, con cui sfrecciare il più possibile lontano da ciò che resta della coscienza.
Adesso, tutto diviene più comprensibile, no?
Al netto di una follia congenita, o semplicemente nutrita sin dalla nascita, è semplice capire la scelta del pretestuale nemico, vero?
Perché è così che fa, il popolo degli effetti.
Laddove sia costretto a individuare una causa di quale tra essi lo disturbi di più, sceglie esattamente secondo la sua primitiva logica.
E quale miglior colpevole del popolo delle cause, ovvero coloro che non possono fare a meno di ignorarle, perché son quelli che gli effetti li pagano con la propria stessa vita?
C’erano una volta, quindi il popolo degli effetti e quello delle cause.
Nati per coesistere sul medesimo pianeta.
Che, come pianta e seme, son parti del medesimo ciclo vitale.
Ma, da che mondo è mondo, solo chi ha in tasca il seme.
Vedrà l’alba seguente.
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