Storie sulla vita: le invasioni legalizzate
Storie e Notizie N. 1489
Due ragazze afgane si sono viste rifiutare i permessi per l’ingresso negli Stati Uniti in occasione di un concorso relativo alla costruzione di robot. La vicenda è emersa in quanto legata alla discussa legittimità del bando deciso dall’attuale presidente americano di proibire temporaneamente gli arrivi da sei paesi a maggioranza musulmana, malgrado l’Afghanistan non sia tra essi.
Ciò nonostante, il robot di loro produzione è stato accolto, le giovani creatrici no.
Credo sia la sintesi della nostra sempre più paradossale società…
Siamo un popolo invadente.
Lo siamo di natura.
Lo siamo perché lo dice la Storia, laddove il corpo menta.
Nondimeno, siamo altresì una specie incredibilmente invadibile.
Malgrado le manipolazioni del racconto mediatico e subdolamente interessato, la dimostrazione è chiara, come una semplice favola, buona anche per gli infanti.
Ogni giorno, ora, anche in questo preciso istante, ci lasciamo impossessare da parole inutili, da espressioni sgrammaticate e fuorvianti.
Da bugie, ci facciamo fottere il cervello e il cuore, come se fossero la stessa cosa, da menzogne puerili e scardinabili al primo refolo di intelletto.
Ma ci piace così, perché così fan tutti, e allora?
Perché mettersi di traverso alla berciante coda sull’asfalto?
Non vogliamo rimaner soli, perché temiamo il silenzio quasi come noi stessi.
E allora ci lasciamo riempire le case e il tempo di macchine, punto.
Son tutte macchine, cappero, ma hai visto mai che bastan quelle?
E gli accessori? Te li vuoi perdere?
E gli accessori degli accessori?
Ma laddove poi se ne rompa anche solo uno, di questi ultimi, tanto vale ricomprare tutto, no?
E allora vai, porte aperte, frontiere inesistenti innanzi al futuro che colora di jingle e bottoncini colorati l’orizzonte chiamato schermo.
Tutto per gli occhi, signora mia.
Solo per i tuoi occhi, caro mio.
Perché è questo che facciamo.
Lasciamo che riempiano ogni angolo della nostra visuale, basta che sia virale, a condizione che non stoni con i contorni, a meno che non scendano le azioni e allora non preoccuparti, chiudi gli occhi e sogna.
L’unico, vero momento di libertà che hai non è tuo.
L’inconscio ne approfitterà e ci proverà di nuovo, ogni notte urla e si danna come un testardo attore, o un narratore ossessionato dalle disfide già perse, che non può fare a meno di mettere alla berlina l’assurdità del vivere civile.
Maledetta sveglia, sciagurata fretta, che il cielo bandisca il domani scontato.
Perché al dì seguente l’invasione proseguirà.
Il cedimento di un centimetro dopo l’altro innanzi all’orda invisibile di violazioni dei diritti umani e dell’ambiente.
Avanza in noi imperterrita, in ogni istante serriamo bocche e coscienze di fronte allo spietato agire.
Ci lasciamo penetrare dallo schifo che produciamo incessantemente, tra polmoni e stomaco, orecchie e ricordi, in una posticcia raccolta differenziata del marciume troppo piccolo per essere smaltito.
E’ la morte prematura di un mondo che abbiamo sognato, colei alla quale stiamo lasciando il passo.
Ma noi siamo furbi, perché noi veniamo prima di loro, gli altri umani.
E forse è giusto così.
Non possiamo farli entrare.
Perché dentro di noi, ormai.
Non c’è più posto.
Compra il mio ultimo libro, Tramonto, la favola del figlio di Buio e Luce
Leggi anche il racconto della settimana: Storie di ragazze e di padri: parole e gesti
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Ascolta la mia canzone La libertà
Guarda un estratto del mio ultimo spettacolo Curami
Due ragazze afgane si sono viste rifiutare i permessi per l’ingresso negli Stati Uniti in occasione di un concorso relativo alla costruzione di robot. La vicenda è emersa in quanto legata alla discussa legittimità del bando deciso dall’attuale presidente americano di proibire temporaneamente gli arrivi da sei paesi a maggioranza musulmana, malgrado l’Afghanistan non sia tra essi.
Ciò nonostante, il robot di loro produzione è stato accolto, le giovani creatrici no.
Credo sia la sintesi della nostra sempre più paradossale società…
Siamo un popolo invadente.
Lo siamo di natura.
Lo siamo perché lo dice la Storia, laddove il corpo menta.
Nondimeno, siamo altresì una specie incredibilmente invadibile.
Ogni giorno, ora, anche in questo preciso istante, ci lasciamo impossessare da parole inutili, da espressioni sgrammaticate e fuorvianti.
Da bugie, ci facciamo fottere il cervello e il cuore, come se fossero la stessa cosa, da menzogne puerili e scardinabili al primo refolo di intelletto.
Ma ci piace così, perché così fan tutti, e allora?
Perché mettersi di traverso alla berciante coda sull’asfalto?
Non vogliamo rimaner soli, perché temiamo il silenzio quasi come noi stessi.
E allora ci lasciamo riempire le case e il tempo di macchine, punto.
Son tutte macchine, cappero, ma hai visto mai che bastan quelle?
E gli accessori? Te li vuoi perdere?
E gli accessori degli accessori?
Ma laddove poi se ne rompa anche solo uno, di questi ultimi, tanto vale ricomprare tutto, no?
E allora vai, porte aperte, frontiere inesistenti innanzi al futuro che colora di jingle e bottoncini colorati l’orizzonte chiamato schermo.
Tutto per gli occhi, signora mia.
Solo per i tuoi occhi, caro mio.
Perché è questo che facciamo.
Lasciamo che riempiano ogni angolo della nostra visuale, basta che sia virale, a condizione che non stoni con i contorni, a meno che non scendano le azioni e allora non preoccuparti, chiudi gli occhi e sogna.
L’unico, vero momento di libertà che hai non è tuo.
L’inconscio ne approfitterà e ci proverà di nuovo, ogni notte urla e si danna come un testardo attore, o un narratore ossessionato dalle disfide già perse, che non può fare a meno di mettere alla berlina l’assurdità del vivere civile.
Maledetta sveglia, sciagurata fretta, che il cielo bandisca il domani scontato.
Perché al dì seguente l’invasione proseguirà.
Il cedimento di un centimetro dopo l’altro innanzi all’orda invisibile di violazioni dei diritti umani e dell’ambiente.
Avanza in noi imperterrita, in ogni istante serriamo bocche e coscienze di fronte allo spietato agire.
Ci lasciamo penetrare dallo schifo che produciamo incessantemente, tra polmoni e stomaco, orecchie e ricordi, in una posticcia raccolta differenziata del marciume troppo piccolo per essere smaltito.
E’ la morte prematura di un mondo che abbiamo sognato, colei alla quale stiamo lasciando il passo.
Ma noi siamo furbi, perché noi veniamo prima di loro, gli altri umani.
E forse è giusto così.
Non possiamo farli entrare.
Perché dentro di noi, ormai.
Non c’è più posto.
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