Diversità spiegata ai bambini
Storie e Notizie N. 1439
C’era una volta un regno.
Grande, se ci pensi, molto più grande di quello che si crede, allorché lo si guardi dall’alto, da lontano.
Al meglio se ne proietti dimensioni e opportunità all’interno della tua fantasia o di quel che di essa è finora sopravvissuto.
Nel regno grande, molto di più della semplice apparenza, c’era tutto per tutti.
Ogni cosa era stata studiata e programmata per ciascun essere vivente. Lo era altresì per le cose inanimate, figuriamoci per la materia che respira e ama, che nasce e se ne va.
C’era cibo per tutti, a seconda dell’apparato digerente e dei gusti, della modalità di ingestione dello stesso e delle vie per procacciarselo.
E c’era anche riparo per ogni vita, con giaciglio da realizzare o pronto alla bisogna, difesa dalle intemperie e dai capricci del fato, spazio per trascorrere tempo e costruire legami con simili e non.
C’era luce, tutta quella di cui davvero si ha bisogno nell’arco di un’esistenza.
E c’era buio, tutto quello del quale si ha altrettanta necessità.
Per apprezzare pienamente la prima.
C’erano miliardi di creature, ciascuna differente dall’altra, unica per ragioni altrettanto speciali, tutte con una ragione d’esistere, tutte con un motivo per andare e tornare.
E v’erano non meno incontri tra esse, intimi o solo accennati, casuali o inevitabili, perfetti o distruttivi.
C’era il libero arbitrio e c’erano scelte infinite, c’erano innumerevoli colori e incalcolabili molteplicità di suoni.
C’era musica, quindi.
E c’era danza.
C’era ogni tipo di arte plausibile.
Inarrivabile allorché non lo fosse affatto.
C’erano possibilità illimitate.
E c’era un tempo finito.
Come questo racconto, come è giusto che sia.
Ce n’erano mille e mille altre, di storie, ognuna dal finale aperto.
E c’era un numero non trascrivibile, per quanto immenso, non pensabile, per quanto assordante, giammai narrabile, per quanto bello, di vie per amare il prossimo.
C’era una volta questo regno.
E c’è ancora, per nostra ingrata fortuna.
Si chiama natura...
C’era una volta un regno.
Grande, se ci pensi, molto più grande di quello che si crede, allorché lo si guardi dall’alto, da lontano.
Al meglio se ne proietti dimensioni e opportunità all’interno della tua fantasia o di quel che di essa è finora sopravvissuto.
Nel regno grande, molto di più della semplice apparenza, c’era tutto per tutti.
Ogni cosa era stata studiata e programmata per ciascun essere vivente. Lo era altresì per le cose inanimate, figuriamoci per la materia che respira e ama, che nasce e se ne va.
C’era cibo per tutti, a seconda dell’apparato digerente e dei gusti, della modalità di ingestione dello stesso e delle vie per procacciarselo.
E c’era anche riparo per ogni vita, con giaciglio da realizzare o pronto alla bisogna, difesa dalle intemperie e dai capricci del fato, spazio per trascorrere tempo e costruire legami con simili e non.
C’era luce, tutta quella di cui davvero si ha bisogno nell’arco di un’esistenza.
E c’era buio, tutto quello del quale si ha altrettanta necessità.
Per apprezzare pienamente la prima.
C’erano miliardi di creature, ciascuna differente dall’altra, unica per ragioni altrettanto speciali, tutte con una ragione d’esistere, tutte con un motivo per andare e tornare.
E v’erano non meno incontri tra esse, intimi o solo accennati, casuali o inevitabili, perfetti o distruttivi.
C’era il libero arbitrio e c’erano scelte infinite, c’erano innumerevoli colori e incalcolabili molteplicità di suoni.
C’era musica, quindi.
E c’era danza.
C’era ogni tipo di arte plausibile.
Inarrivabile allorché non lo fosse affatto.
C’erano possibilità illimitate.
E c’era un tempo finito.
Come questo racconto, come è giusto che sia.
Ce n’erano mille e mille altre, di storie, ognuna dal finale aperto.
E c’era un numero non trascrivibile, per quanto immenso, non pensabile, per quanto assordante, giammai narrabile, per quanto bello, di vie per amare il prossimo.
C’era una volta questo regno.
E c’è ancora, per nostra ingrata fortuna.
Si chiama natura...