Storie sui diritti umani: giustizia per Adama Traoré e altri
Storie e Notizie N. 1437
Leggo che la morte del giovane Adama Traoré in custodia della polizia francese è diventato uno dei più discussi casi in Europa sulla presunta o accertata brutalità degli agenti, tema che diventa ogni giorno di più di estrema attualità ovunque, anche da noi.
Si domanda giustamente giustizia, se mi lasciate passare il ridondante accostamento e in questi giorni le manifestazioni a Parigi sono molto numerose.
Tuttavia, a mio modesto parere, la paradossale aberrazione secondo la quale chi, a spese dei cittadini dovrebbe proteggere e garantire la sicurezza di questi ultimi, finisce al contrario per toglier loro la vita, rende urgente ancor prima una semplice richiesta di normalità…
C’era una volta un paese pazzo.
Un luogo del tutto scombinato, stravolto nellaragionevole logica e la mera fisica delle cose.
Nel paese pazzo viveva lei, la signorina Semplice.
Una tipa davvero a modo, ma niente di bigotto, sia ben chiaro.
Solo una giovane con una visione comprensibile della vita, con le emozioni al posto giusto e una spontanea propensione per l’armonia con i beni del mondo.
Niente di speciale, va ricordato, ma nel regno dei folli, ella fungeva da prova del nove, anzi dell’otto, visto che siamo nella terra dissennata.
Leggi pure come l’umana eccezione alla regola sbagliata.
La signorina non capiva e fin qui era solo banale reazione agli eventi.
Ma Semplice era tutt’altro che tale e quindi non si limitava a rispondere.
Voleva risposte a sua volta e lottava con ogni mezzo contro le astrusità travestite da linee dritte e imprescindibili.
Come una sorta di Don Chisciotte al contrario, ma senza alcun Sancho a sostegno, sola e fiera si lanciava con la lancia in resta contro i draghi dagli occhi assenti e la bava alla bocca.
E diceva no a ogni anormalità accettata, recitando a squarciagola le storture tollerate dai suoi simili.
Una sciarpa dovrebbe proteggere la tua gola dalle correnti fredde, giammai strangolarti, diceva.
E un ombrello dovrebbe salvarti dalla pioggia, meno che mai attirar fulmini a profusione.
La ciambella in mare è lì per evitare il tuo annegamento, perché vi è aria all’interno, non pietre assassine pesanti come ottuso odio.
E un semaforo esiste in quanto ultimo baluardo tra l’automobilista e i suoi simili, uno dei rari casi in cui i colori siano davvero indispensabili nel nostro comune cammino, dovrebbero quindi cambiare con criterio e non per una mera casualità.
Come se le vite in gioco non contassero affatto.
Come se tutto fosse solo un gioco.
Di vite.
Allo stesso modo, il paracadute dovrebbe essere la via più emozionante per tornare alla terra coraggiosamente e temporaneamente salutata, per nulla al mondo il modo più veloce per farlo.
Magari rifiutandosi di fare quel che è scritto che faccia, ovvero aprirsi a comando e accompagnare il viaggiatore sano e salvo a casa.
Queste e molte altre, troppe, erano le contraddittorie crepe che la signorina Semplice vedeva e rifiutava nel suo paese.
Non smetteva mai di farlo.
Perché sapeva che gridare, dal proprio punto di vista, la semplice normalità era suo diritto.
E magari anche dovere.
Leggo che la morte del giovane Adama Traoré in custodia della polizia francese è diventato uno dei più discussi casi in Europa sulla presunta o accertata brutalità degli agenti, tema che diventa ogni giorno di più di estrema attualità ovunque, anche da noi.
Si domanda giustamente giustizia, se mi lasciate passare il ridondante accostamento e in questi giorni le manifestazioni a Parigi sono molto numerose.
Tuttavia, a mio modesto parere, la paradossale aberrazione secondo la quale chi, a spese dei cittadini dovrebbe proteggere e garantire la sicurezza di questi ultimi, finisce al contrario per toglier loro la vita, rende urgente ancor prima una semplice richiesta di normalità…
C’era una volta un paese pazzo.
Un luogo del tutto scombinato, stravolto nellaragionevole logica e la mera fisica delle cose.
Nel paese pazzo viveva lei, la signorina Semplice.
Una tipa davvero a modo, ma niente di bigotto, sia ben chiaro.
Solo una giovane con una visione comprensibile della vita, con le emozioni al posto giusto e una spontanea propensione per l’armonia con i beni del mondo.
Niente di speciale, va ricordato, ma nel regno dei folli, ella fungeva da prova del nove, anzi dell’otto, visto che siamo nella terra dissennata.
Leggi pure come l’umana eccezione alla regola sbagliata.
La signorina non capiva e fin qui era solo banale reazione agli eventi.
Ma Semplice era tutt’altro che tale e quindi non si limitava a rispondere.
Voleva risposte a sua volta e lottava con ogni mezzo contro le astrusità travestite da linee dritte e imprescindibili.
Come una sorta di Don Chisciotte al contrario, ma senza alcun Sancho a sostegno, sola e fiera si lanciava con la lancia in resta contro i draghi dagli occhi assenti e la bava alla bocca.
E diceva no a ogni anormalità accettata, recitando a squarciagola le storture tollerate dai suoi simili.
Una sciarpa dovrebbe proteggere la tua gola dalle correnti fredde, giammai strangolarti, diceva.
E un ombrello dovrebbe salvarti dalla pioggia, meno che mai attirar fulmini a profusione.
La ciambella in mare è lì per evitare il tuo annegamento, perché vi è aria all’interno, non pietre assassine pesanti come ottuso odio.
E un semaforo esiste in quanto ultimo baluardo tra l’automobilista e i suoi simili, uno dei rari casi in cui i colori siano davvero indispensabili nel nostro comune cammino, dovrebbero quindi cambiare con criterio e non per una mera casualità.
Come se le vite in gioco non contassero affatto.
Come se tutto fosse solo un gioco.
Di vite.
Allo stesso modo, il paracadute dovrebbe essere la via più emozionante per tornare alla terra coraggiosamente e temporaneamente salutata, per nulla al mondo il modo più veloce per farlo.
Magari rifiutandosi di fare quel che è scritto che faccia, ovvero aprirsi a comando e accompagnare il viaggiatore sano e salvo a casa.
Queste e molte altre, troppe, erano le contraddittorie crepe che la signorina Semplice vedeva e rifiutava nel suo paese.
Non smetteva mai di farlo.
Perché sapeva che gridare, dal proprio punto di vista, la semplice normalità era suo diritto.
E magari anche dovere.