Time Trump persona dell’anno e il nostro tempo
Storie e Notizie N. 1417
Per la 90esima volta la rivista Time ha scelto la persona dell’anno, raffigurandola nell’ormai proverbiale copertina, la quale ha avuto maggiore influenza, nel bene e nel male, sugli eventi. Il 2016 è il turno del neo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Ma ora, in questo preciso istante, è davvero il tempo (time) di Trump?
E’ il Tempo di Trump, certo che sì.
Tuttavia, per nostra e - guarda un po’ - anche sua fortuna, il tempo con l'iniziale minuscola non è solo una rivista da sfogliare, con cui incartare ogni auspicio disilluso il giorno seguente.
Il tempo non è la foto oggi in copertina e neppure quelle immagini virali di ieri e ieri l’altro.
Quali immagini, mi chiedi? Ecco, appunto.
Cos’è il tempo non è questione da poco, è certo, e non oso affatto azzardarmi a cercare di affrontare l’universale domanda.
Di sicuro, non è di Donald Trump, come non lo è stato di Obama per otto anni.
Non lo è stato di Hitler e neppure di Gandhi, figuriamoci.
Neppure di mia nonna, per quanto abbia superato ogni parente in forza di volontà e soprattutto volume della voce.
Allo stesso modo non è il mio che qui scrivo e neppure tuo che leggi, per quanto ti sia grato del tempo.
Che alle mie parole dedichi.
Una parola manca a comprovare il tutto, poiché la sola cosa che possiamo affermare con certezza è che ora, in questo preciso istante, il tempo è anche di Trump.
Ma lo è in modo viscerale pure di chi si oppone a quest’ultimo. Sicché, conclusosi l’altro, di tempo, quello delle urla e delle conclamazioni, un milione di altri istanti sono nati e aspettano nutrimento e cura, affinché trovino voce autorevole nel calendario delle sacre umane resistenze.
E’ altresì il tempo, permettimi un’attenzione particolare per costoro, di chi pagherà con serenità e addirittura vita a causa delle sciagurate decisioni del celebrato padrone della clessidra in prima pagina.
Trattasi di tempo a scadenza per definizione, destino comune a tutte le vittime sacrificabili all’altare della narrazione ingombrante, comparse strumentali all’exploit del primo attore, colui intorno al quale vendi il film, giammai il contrario.
E allora, magari, coscienza vorrebbe che indicassimo tale commovente porzione dell’umanità come i figli ripudiati dal tempo.
Ovvero, i soli degni di una storia al riparo della volgare festa su nell’attico.
E’ anche il tempo degli innocenti passeggeri, coloro che saliranno a bordo domani e il giorno seguente, trovando al timone della nave la persona dell’anno ormai passato.
I quali verranno addirittura maltrattati proprio dai veri responsabili dell’insana scelta del capitano, come se fosse uno strano tipo di colpa, nascere.
In un altro tempo.
Che è loro, naturalmente, ma, come già detto, lo è anche.
Di Trump.
Mio.
E tuo.
E allora proviamo a pensare al tempo che verrà.
Se è nostro il domani, quanto lo è stato ieri?
Quanto lo sentiamo, nostro, l’oggi?
Ecco.
Eccolo, è tutto qui, il disegno danzante che chiamiamo vita comune.
Un’immagine arrogante che ricopre gran parte dello schermo.
Da cui il dovere di riprenderci il nostro spazio.
E il nostro tempo...
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Leggi anche il racconto della settimana: Andate via
Leggi altre storie per riflettere
Ascolta la mia canzone La libertà
Guarda un estratto del mio ultimo spettacolo Passeggiando con l'ombra
Per la 90esima volta la rivista Time ha scelto la persona dell’anno, raffigurandola nell’ormai proverbiale copertina, la quale ha avuto maggiore influenza, nel bene e nel male, sugli eventi. Il 2016 è il turno del neo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Ma ora, in questo preciso istante, è davvero il tempo (time) di Trump?
E’ il Tempo di Trump, certo che sì.
Tuttavia, per nostra e - guarda un po’ - anche sua fortuna, il tempo con l'iniziale minuscola non è solo una rivista da sfogliare, con cui incartare ogni auspicio disilluso il giorno seguente.
Quali immagini, mi chiedi? Ecco, appunto.
Cos’è il tempo non è questione da poco, è certo, e non oso affatto azzardarmi a cercare di affrontare l’universale domanda.
Di sicuro, non è di Donald Trump, come non lo è stato di Obama per otto anni.
Non lo è stato di Hitler e neppure di Gandhi, figuriamoci.
Neppure di mia nonna, per quanto abbia superato ogni parente in forza di volontà e soprattutto volume della voce.
Allo stesso modo non è il mio che qui scrivo e neppure tuo che leggi, per quanto ti sia grato del tempo.
Che alle mie parole dedichi.
Una parola manca a comprovare il tutto, poiché la sola cosa che possiamo affermare con certezza è che ora, in questo preciso istante, il tempo è anche di Trump.
Ma lo è in modo viscerale pure di chi si oppone a quest’ultimo. Sicché, conclusosi l’altro, di tempo, quello delle urla e delle conclamazioni, un milione di altri istanti sono nati e aspettano nutrimento e cura, affinché trovino voce autorevole nel calendario delle sacre umane resistenze.
E’ altresì il tempo, permettimi un’attenzione particolare per costoro, di chi pagherà con serenità e addirittura vita a causa delle sciagurate decisioni del celebrato padrone della clessidra in prima pagina.
Trattasi di tempo a scadenza per definizione, destino comune a tutte le vittime sacrificabili all’altare della narrazione ingombrante, comparse strumentali all’exploit del primo attore, colui intorno al quale vendi il film, giammai il contrario.
E allora, magari, coscienza vorrebbe che indicassimo tale commovente porzione dell’umanità come i figli ripudiati dal tempo.
Ovvero, i soli degni di una storia al riparo della volgare festa su nell’attico.
E’ anche il tempo degli innocenti passeggeri, coloro che saliranno a bordo domani e il giorno seguente, trovando al timone della nave la persona dell’anno ormai passato.
I quali verranno addirittura maltrattati proprio dai veri responsabili dell’insana scelta del capitano, come se fosse uno strano tipo di colpa, nascere.
In un altro tempo.
Che è loro, naturalmente, ma, come già detto, lo è anche.
Di Trump.
Mio.
E tuo.
E allora proviamo a pensare al tempo che verrà.
Se è nostro il domani, quanto lo è stato ieri?
Quanto lo sentiamo, nostro, l’oggi?
Ecco.
Eccolo, è tutto qui, il disegno danzante che chiamiamo vita comune.
Un’immagine arrogante che ricopre gran parte dello schermo.
Da cui il dovere di riprenderci il nostro spazio.
E il nostro tempo...
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