Storie di razzismo in Italia: il diritto all’odio

Storie e Notizie N. 1398

Gioite, cari compatrioti. A Gorino, amena frazione in provincia di Ferrara, i solerti e valorosi abitanti, coadiuvati dagli altrettanto prodi concittadini di Goro, hanno prontamente innalzato una barricata per impedire l’invasione di ben dodici, mostruose creature aliene. In breve, migranti. Donne, per giunta.
Dopo una strenua resistenza da parte dei nostri eroi, le indesiderate sono state respinte.
Esultate, o voi che ancora puro ardore provate per l’italico stivale.
L’onore è salvo e il futuro della brava ed eroica popolazione è al sicuro…


C’era una volta un paese.


Il paese dove un sacrosanto diritto veniva difeso al costo della propria stessa vita.
Il diritto all’odio.
L’intera comunità aveva costruito se stessa su questo pilastro.
Ogni cittadino ha diritto all’odio, recitava un invisibile articolo di una particolare costituzione, scritta da qualche parte nel corpo, di sicuro non nel cuore. Tale sentimento può essere rivolto a qualunque cosa o chiunque, per qualsivoglia ragione. E, qualsiasi sia la forma nella quale si manifesti, una sola replica sarà concessa: 'questa gente è esasperata'. Di conseguenza, 'questa gente va capita'.
Il paese dove il diritto all’odio era sacrosanto e protetto a costo della vita era, forse non a caso, delimitato da un muro che definire invalicabile sarebbe stato alquanto riduttivo.
L’architetto che l’aveva progettato, noto con il soprannome de Il baluardo, era una delle vere eccellenze del paese, delle quali quest’ultimo era assai orgoglioso.
Vi basti sapere che costui aveva anche la paternità di un’opera avveniristica e multimediale, se così possiamo definirla, che forse già conoscete. Sto parlando dell’ormai celeberrima scultura chiamata Il tirassegno di colore, raffigurante uno straniero nell’atto di attraversare il sacro confine, che i cittadini magari annoiati o solo svegliatisi con la classica luna storta potevano liberamente colpire con freccette, sassi e anche scarpe.
Ora, come si dice, c’è sempre una prima volta, l’eccezione che conferma la regola, perfino qui casca l’asino, che forse non c’entra nulla, o magari sì.
Difatti, venne l'istante in cui tutti gli allarmi suonarono all’unisono.
La sirena urlò rabbiosa in piena notte, generando angoscia e terrore nei paesani in quantità industriale.
Per avere un’idea delle dimensioni del panico dilagante, vi sia sufficiente sapere che a confronto gli allarmi che invitavano le persone a ripiegare nei rifugi durante le scorse guerre mondiali risultavano come la suoneria del cellulare allorché sia giunto appena un messaggino.
“Cosa succede?” Esclamarono alcuni uscendo in strada.
“E’ stato solo un falso contatto?” Si augurarono altri affacciandosi alla finestra.
“Sarà forse uno scherzo dello scemo del paese?” Ipotizzarono altri ancora.
“No”, rispose l’interessato direttamente dal cimitero, “visto che sono morto l’altro ieri. Peccato, però, non averci pensato prima…”
Nulla da fare, la sentenza della realtà era tragicamente indiscutibile.
Qualcuno era passato oltre.
Qualcosa aveva oltrepassato il muro.
L’intruso era tra loro.
Immediatamente vennero applicati tutti i protocolli di sicurezza previsti.
Ronde indiavolate sciamarono ovunque, strade e vicoli vennero illuminati a giorno da accecanti torce, robusti manganelli e dentature affilate vibravano all’unisono, gli occhi sgranati di tutti setacciarono al millimetro ogni angolo del paese.
Invano.
Allora chiesero al baluardo di ricontrollare egli stesso il muro e tutti gli allarmi.
Invano.
Presero la scatola nera, la fecero in pezzi e riascoltarono centinaia di volte la stessa, terribile sirena, con la debole speranza di esser stati vittime di una clamorosa allucinazione collettiva.
Invano, terribilmente invano.
C’era una volta paese, in conclusione.
Un paese dove l’odio era un diritto inviolabile, difeso da tutti al prezzo di un’intera esistenza.
Tuttavia, come dice un vecchio proverbio africano - è una balla, ma facciamo che sia vero – su ogni muro prima o poi giunge la notte che si forma una crepa.
E qualcosa passa, credimi, volente o nolente, arriva il momento che lo fa.
Magari solo una piccola storia, non una persona, una manciata di parole, non quello che da sempre hai temuto.
E al mattino ti svegli e ti accorgi.
Che hai dato la tua vita per difendere il diritto di odiare.
Te.


Vieni ad ascoltarmi a teatro, Elisa e il meraviglioso degli oggetti, Sabato 5 Novembre alle 21 al Teatro Planet, Roma.
Leggi anche il racconto della settimana: Prigioniera delle strisce pedonali
Leggi altre storie di razzismo
Ascolta la mia canzone La libertà
Compra il mio ultimo libro, Elisa e il meraviglioso mondo degli oggetti, Tempesta Editore
 

Visita le pagine dedicate ai libri: