Storie di bambini perduti: cosa ho imparato
Storie e Notizie N. 1360
Dopo sei notti trascorse all’addiaccio è stato ritrovato Yamato Tanooka, il bambino di sette anni punito dai genitori e disperso nel bosco in Giappone.
Un’esperienza che, di sicuro, lo segnerà per sempre…
Cosa ho imparato, già.
Cosa ho imparato è sempre la domanda più importante.
Ed è, altrettanto, la risposta più imprevista.
Ho imparato che sono solo.
Che lo ero.
E che lo sarò sempre innanzi all’idiozia umana, allorché io ambisca a sopravvivere a essa.
Ho imparato che da solo, solo da solo, ho la possibilità di capire davvero.
Quanto solo io sia.
Difficile che ciò accada confuso tra le maschere di paura e ignoranza che la maggior parte degli adulti indossa come se fossero il vestito migliore, quello della domenica in piazza.
Ho imparato che una volta solo non puoi rimanere fermo ad aspettare che il mondo rimasto indietro ti raggiunga.
Non ne vale la pena.
E, in ultima analisi, le possibilità che ciò avvenga sono praticamente nulle.
Anzi, il paradosso è che, laddove vi sia il desiderio che la strada intrapresa divenga maestra per le anime lente, esso dipende da una sola eventualità.
Che qualcuno la scriva per primo, quella strada, e il più delle volte è una creatura sottovalutata.
Come un bambino.
Ho imparato che una volta in viaggio non sarò meno solo.
Ma mi ci sentirò infinitamente di meno.
Ho imparato che uscire dal bosco non è poi così importante e che non è certo smettere di essere solo, una ragione degna di questo nome.
Forse far sentire meno soli quelli che fuori aspettano, magari.
Ho imparato a fare un mondo di cose, da solo.
Non a mangiare o a lavarmi i denti e andare a letto, come si premurano la maggior parte dei genitori di questo mondo.
Neppure a fare il bravo, se è questo quel che stai pensando.
Ho imparato, invece, a pensare da solo.
Ho imparato a soffrire, da solo.
Ho imparato a guardare le cose che mi circondano, da solo.
E ho imparato a rimirar da vicino tutto quello che sono.
Da solo.
Cosa ho imparato, ti chiedi.
Cosa ho imparato, certo.
Ho imparato molto e l’ho fatto tutto da solo.
Ma non credere che il merito sia della voce che berciante sgrida e dell’occhio irato che lontano ti scaccia.
Della mano che castiga e tantomeno della punizione in sé.
Poiché vorrebbe dire che da questa storia non hai imparato niente.
Il merito è tutto mio.
Mio.
Solo.
Leggi anche il racconto della settimana: Le tre domande
Leggi altre storie di bambini
Ascolta la mia canzone La libertà
Compra il mio ultimo libro, La truffa dei migranti, Tempesta Editore
Dopo sei notti trascorse all’addiaccio è stato ritrovato Yamato Tanooka, il bambino di sette anni punito dai genitori e disperso nel bosco in Giappone.
Un’esperienza che, di sicuro, lo segnerà per sempre…
Cosa ho imparato, già.
Cosa ho imparato è sempre la domanda più importante.
Ed è, altrettanto, la risposta più imprevista.
Ho imparato che sono solo.
Che lo ero.
E che lo sarò sempre innanzi all’idiozia umana, allorché io ambisca a sopravvivere a essa.
Ho imparato che da solo, solo da solo, ho la possibilità di capire davvero.
Quanto solo io sia.
Difficile che ciò accada confuso tra le maschere di paura e ignoranza che la maggior parte degli adulti indossa come se fossero il vestito migliore, quello della domenica in piazza.
Ho imparato che una volta solo non puoi rimanere fermo ad aspettare che il mondo rimasto indietro ti raggiunga.
Non ne vale la pena.
E, in ultima analisi, le possibilità che ciò avvenga sono praticamente nulle.
Anzi, il paradosso è che, laddove vi sia il desiderio che la strada intrapresa divenga maestra per le anime lente, esso dipende da una sola eventualità.
Che qualcuno la scriva per primo, quella strada, e il più delle volte è una creatura sottovalutata.
Come un bambino.
Ho imparato che una volta in viaggio non sarò meno solo.
Ma mi ci sentirò infinitamente di meno.
Ho imparato che uscire dal bosco non è poi così importante e che non è certo smettere di essere solo, una ragione degna di questo nome.
Forse far sentire meno soli quelli che fuori aspettano, magari.
Ho imparato a fare un mondo di cose, da solo.
Non a mangiare o a lavarmi i denti e andare a letto, come si premurano la maggior parte dei genitori di questo mondo.
Neppure a fare il bravo, se è questo quel che stai pensando.
Ho imparato, invece, a pensare da solo.
Ho imparato a soffrire, da solo.
Ho imparato a guardare le cose che mi circondano, da solo.
E ho imparato a rimirar da vicino tutto quello che sono.
Da solo.
Cosa ho imparato, ti chiedi.
Cosa ho imparato, certo.
Ho imparato molto e l’ho fatto tutto da solo.
Ma non credere che il merito sia della voce che berciante sgrida e dell’occhio irato che lontano ti scaccia.
Della mano che castiga e tantomeno della punizione in sé.
Poiché vorrebbe dire che da questa storia non hai imparato niente.
Il merito è tutto mio.
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