Storie di immigrati bambini: il sogno di Amir
Storie e Notizie N. 1334
Oggi è la Giornata mondiale del sonno...
Io ho un sonno.
Sì, potrei iniziare così, come il discorso del celebre dispensatore di visioni di nero vestito, uscito di scena troppo presto e con notevole rumore, come tutti i grandi del passato.
Visioni, ovvero sogni, giammai sonni.
Ebbene, io non aspiro a tanto.
Mi va bene anche il riposo a schermo vuoto.
Basta che tale sia.
Riposo.
Mi chiamo Amir e sono stanco di morire. Quando inizia la vita? Sapete qualcosa, voi? No, perché qui non ci fanno sapere nulla, a noi altri. Prime pagine minori di altrettanto trascurabili volumi, relegati rigorosamente negli scaffali dimenticati. Lì dove le storie senza titolo vengono al mondo. Quelle che di morale non ne hanno alcuna, altrimenti vai a raccontarlo ai protagonisti del racconto che tutto quel che patiscono in fondo ha un senso.
Mi hanno solo detto vai, si inizia, tocca a te. E io sono andato in scena, come tutti.
Ma la sapete una cosa? Se l’avessi intuito, che sarebbe andata così, avrei rifatto gli stessi passi.
Lo so, per molti di voi è difficile comprenderlo. In caso contrario, le distanze tra noi sarebbero l’ultimo dei problemi.
Il fatto è che non si cerca la luna, qui.
Neanche il più piccolo frammento di fortuna che per caso precipiti per una volta sul lato giusto del mondo.
Certo, se ciò dovesse accadere ci getteremmo a mucchi sulla luce che miracolosamente cambia destinazione.
Ma credetemi sulla parola, per me non è un’ossessione la vittoria.
Perché io ho un sonno.
Ho un sonno insoddisfatto che nasce con me, non molto tempo addietro.
E’ dove sto andando.
La vostra terra è solo una finestra da attraversare rapidamente e possibilmente senza troppe ferite in dono.
La terra promessa, il giorno perfetto, sono il luogo e l’istante in cui mi fermerò.
Perché il corpo si fiderà del mondo.
Il respiro rallenterà quanto basta per rassicurare il cuore.
Quest’ultimo troverà la posizione migliore nel petto e le membra si adageranno sul suolo amico.
Quindi toccherà a loro chiudere il sipario, gli occhi.
Piangeranno, probabilmente.
Le labbra sorrideranno, questo è tanto, non poco, ed è più che sicuro.
E come due morbide coperte le palpebre daranno finalmente il meritato riparo alla mia anima.
Potrò serenamente dormire.
E magari.
Anche sperare.
Di essere, dopo tutto quel che ho affrontato.
Ancora vivo…
Oggi è la Giornata mondiale del sonno...
Sì, potrei iniziare così, come il discorso del celebre dispensatore di visioni di nero vestito, uscito di scena troppo presto e con notevole rumore, come tutti i grandi del passato.
Visioni, ovvero sogni, giammai sonni.
Ebbene, io non aspiro a tanto.
Mi va bene anche il riposo a schermo vuoto.
Basta che tale sia.
Riposo.
Mi chiamo Amir e sono stanco di morire. Quando inizia la vita? Sapete qualcosa, voi? No, perché qui non ci fanno sapere nulla, a noi altri. Prime pagine minori di altrettanto trascurabili volumi, relegati rigorosamente negli scaffali dimenticati. Lì dove le storie senza titolo vengono al mondo. Quelle che di morale non ne hanno alcuna, altrimenti vai a raccontarlo ai protagonisti del racconto che tutto quel che patiscono in fondo ha un senso.
Mi hanno solo detto vai, si inizia, tocca a te. E io sono andato in scena, come tutti.
Ma la sapete una cosa? Se l’avessi intuito, che sarebbe andata così, avrei rifatto gli stessi passi.
Lo so, per molti di voi è difficile comprenderlo. In caso contrario, le distanze tra noi sarebbero l’ultimo dei problemi.
Il fatto è che non si cerca la luna, qui.
Neanche il più piccolo frammento di fortuna che per caso precipiti per una volta sul lato giusto del mondo.
Certo, se ciò dovesse accadere ci getteremmo a mucchi sulla luce che miracolosamente cambia destinazione.
Ma credetemi sulla parola, per me non è un’ossessione la vittoria.
Perché io ho un sonno.
Ho un sonno insoddisfatto che nasce con me, non molto tempo addietro.
E’ dove sto andando.
La vostra terra è solo una finestra da attraversare rapidamente e possibilmente senza troppe ferite in dono.
La terra promessa, il giorno perfetto, sono il luogo e l’istante in cui mi fermerò.
Perché il corpo si fiderà del mondo.
Il respiro rallenterà quanto basta per rassicurare il cuore.
Quest’ultimo troverà la posizione migliore nel petto e le membra si adageranno sul suolo amico.
Quindi toccherà a loro chiudere il sipario, gli occhi.
Piangeranno, probabilmente.
Le labbra sorrideranno, questo è tanto, non poco, ed è più che sicuro.
E come due morbide coperte le palpebre daranno finalmente il meritato riparo alla mia anima.
Potrò serenamente dormire.
E magari.
Anche sperare.
Di essere, dopo tutto quel che ho affrontato.
Ancora vivo…