Unioni civili e adozioni omosessuali: lettera ai senatori
Storie e Notizie N. 1306
Leggo che trenta senatori cattolici del Partito Democratico si sarebbero opposti all’adozione del figlio del partner (stepchild adoption) oggetto del recente disegno di legge sulle unioni civili.
Da cui la seguente missiva...
Care senatrici, gentili senatori.
Vi racconto una storia.
C’era una volta una casa.
Anzi, no.
Una valigia, se preferite.
Guardate, fate voi.
Immaginate qualcosa che sia in grado di contenere.
Accogliere.
Disegnatela come preferite, l’estro nel tratto, come nel colore, poco importa.
Ciò che conta è che sia vuota.
Bene.
Se così si può dire.
Ora guardate.
Lo vedete il bambino innanzi a voi, al di là del vostro autorevole scrittoio?
Ah… è forse una bambina?
E’ uguale, stavolta è davvero uguale senza discussione.
Perché qualunque sia la natura con la quale definiate la giovane vita protagonista, quel che di comune rimarrà è il nulla.
Perché la casa, la valigia, qualsiasi cosa vi siate figurati in grado di contenere, accogliere, è vuota.
Un’assenza incommensurabile, ostacolo scomodo da affrontare perfino per le fantasie più ardite, giustamente timorose dell’ennesima delusione.
Come un serpente boa che creda soltanto di aver ingoiato l’elefante.
Il bambino nella casa, la bimba con la valigia, l’imberbe creatura con l’evanescente carico sulle spalle è lì, ora, con quello stesso vuoto in gioco.
Ora sfogatevi pure.
Riempite la scrivania con tutto il vostro, di bagaglio.
La vostra cultura e quella delle persone a cui dovete render conto.
La vostra morale e quella di chi non vorreste mai deludere.
Le leggi, tutte. Quelle in cui credete e quelle che, lo sapete già, un giorno appariranno come una sorta di confine. Tra chi si trovava già dal lato giusto della storia e coloro i quali hanno resistito sino all’ultimo.
Colpevole imbarazzo.
Rovesciate anche senza pudore ogni ragione intima e vissuto personale che in qualche modo condizioni il vostro agire. Fatelo senza indugio, perché stavolta nessuno si straccerà le vesti con più o meno facili giudizi.
Perché il solo testimone innanzi a voi non ha alcun elemento per farlo.
Non ha alcunché, in effetti.
Appesantite quanto potete il legno del desco con ogni voce che si senta in diritto di sciorinare puntualmente una miriade di complicanze di genere innanzi al più naturale degli atti.
Poiché di questo si tratta.
Di naturale e oltremodo semplice compito.
Perché quando vi sarete liberati anche dell’ultimo frammento di parole e rumori che le sorti della vita in questione vi hanno scatenato dentro sarete finalmente alla pari con lui.
Con lei.
Un bambino.
Forse una bimba.
E nel mezzo un vuoto assordante.
Leggetelo pure come una casa, una valigia o qualsiasi cosa che puoi riempire soltanto.
Con l’amore.
Leggi anche il racconto della settimana: Una giornata sfortunata
Leggi altre storie sulla diversità
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Leggo che trenta senatori cattolici del Partito Democratico si sarebbero opposti all’adozione del figlio del partner (stepchild adoption) oggetto del recente disegno di legge sulle unioni civili.
Da cui la seguente missiva...
Care senatrici, gentili senatori.
C’era una volta una casa.
Anzi, no.
Una valigia, se preferite.
Guardate, fate voi.
Immaginate qualcosa che sia in grado di contenere.
Accogliere.
Disegnatela come preferite, l’estro nel tratto, come nel colore, poco importa.
Ciò che conta è che sia vuota.
Bene.
Se così si può dire.
Ora guardate.
Lo vedete il bambino innanzi a voi, al di là del vostro autorevole scrittoio?
Ah… è forse una bambina?
E’ uguale, stavolta è davvero uguale senza discussione.
Perché qualunque sia la natura con la quale definiate la giovane vita protagonista, quel che di comune rimarrà è il nulla.
Perché la casa, la valigia, qualsiasi cosa vi siate figurati in grado di contenere, accogliere, è vuota.
Un’assenza incommensurabile, ostacolo scomodo da affrontare perfino per le fantasie più ardite, giustamente timorose dell’ennesima delusione.
Come un serpente boa che creda soltanto di aver ingoiato l’elefante.
Il bambino nella casa, la bimba con la valigia, l’imberbe creatura con l’evanescente carico sulle spalle è lì, ora, con quello stesso vuoto in gioco.
Ora sfogatevi pure.
Riempite la scrivania con tutto il vostro, di bagaglio.
La vostra cultura e quella delle persone a cui dovete render conto.
La vostra morale e quella di chi non vorreste mai deludere.
Le leggi, tutte. Quelle in cui credete e quelle che, lo sapete già, un giorno appariranno come una sorta di confine. Tra chi si trovava già dal lato giusto della storia e coloro i quali hanno resistito sino all’ultimo.
Colpevole imbarazzo.
Rovesciate anche senza pudore ogni ragione intima e vissuto personale che in qualche modo condizioni il vostro agire. Fatelo senza indugio, perché stavolta nessuno si straccerà le vesti con più o meno facili giudizi.
Perché il solo testimone innanzi a voi non ha alcun elemento per farlo.
Non ha alcunché, in effetti.
Appesantite quanto potete il legno del desco con ogni voce che si senta in diritto di sciorinare puntualmente una miriade di complicanze di genere innanzi al più naturale degli atti.
Poiché di questo si tratta.
Di naturale e oltremodo semplice compito.
Perché quando vi sarete liberati anche dell’ultimo frammento di parole e rumori che le sorti della vita in questione vi hanno scatenato dentro sarete finalmente alla pari con lui.
Con lei.
Un bambino.
Forse una bimba.
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