Storie di immigrati rifugiati: cosa offro
Storie e Notizie N. 1305
Caro Governo Danese,
ho saputo che vi state avviando a esercitare il diritto di confiscare i nostri beni, al fine di coprire le spese che ci riguardano.
Non ho molta voglia di parlare di diritti.
Soprattutto dei miei.
Forse perché ho dimenticato cosa siano.
O, magari, proprio perché è la cosa che rammento meglio.
Ecco perché non protesterò.
Non alzerò la voce per mettere a rischio ogni singolo istante che ancora mi attende.
Non mi opporrò all’ennesimo abuso.
Perché vivere un altro giorno ancora e andare avanti così, finché strada ci sarà, è il paradiso.
L’inferno è solo una delle forme di quest’ultimo che vorrete concederci, malgrado sappiamo già come sia fatto.
Per questa ragione sono qui, ora.
Confiscate, confiscate pure, ma non troverete banconote o monete perché con esse i miei hanno acquistato tempo. Tutto quello che puoi srotolare innanzi a te come un tappeto rosso, perfino di sangue vivo colorato.
Non ci sono monili di qualsivoglia valore, nella valigia di mamma, poiché l’ha scambiati per una finestra sempre aperta nel mio cuore, da dove non perdere mai di vista le memorie che contano.
Non c'è nulla, ahimè, che potreste naturalmente definire prezioso.
Altrimenti, credete forse che sarei qui, oggi?
A ogni modo, con un po’ di sforzo di immaginazione, anzi molto, e una riduzione di apatia, anzi tanta, vi chiedo di ascoltare cosa offro.
Confiscate, confiscate pure il mio dito indice destro, quello con il quale un giorno ho puntato l’orizzonte più lontano dalla morte.
Ovvero, voi.
Usatelo, magari avrete più fortuna di me.
Coraggio, confiscate senza tema le mie palpebre, al cui riparo ho costruito alternative impossibili sotto forma di luoghi giammai perfetti, solo leggermente più sopportabili della via per raggiungerli. So che potrò farne a meno, ora, perché sognare a occhi aperti è diventato il solo umano vedere.
Confiscate il mio ginocchio sinistro, ma fatelo presto, però, adesso che sono di buon umore. Perché quando mi rattristo mi ritrovo spesso a pensare al giorno in cui me lo sono sbucciato, giocando con mio padre. Quando c’era mio padre.
Confiscate, confiscate anche a mani basse, che è solo un altro modo per raccontare un furto.
E, se proprio ne avete bisogno, confiscate ogni centimetro della mia pelle, affinché dall’istante in cui avrete terminato il vostro lavoro camminerò tra voi come il più nudo dei viventi.
Chissà se osservando a occhio altrettanto spoglio un cuore vibrante, un paio di polmoni in preda al respiro e un fiume di sangue scorrere testardo da nord a sud di una vita vedrete finalmente cosa offro.
E cosa state confiscando...
Caro Governo Danese,
Non ho molta voglia di parlare di diritti.
Soprattutto dei miei.
Forse perché ho dimenticato cosa siano.
O, magari, proprio perché è la cosa che rammento meglio.
Ecco perché non protesterò.
Non alzerò la voce per mettere a rischio ogni singolo istante che ancora mi attende.
Non mi opporrò all’ennesimo abuso.
Perché vivere un altro giorno ancora e andare avanti così, finché strada ci sarà, è il paradiso.
L’inferno è solo una delle forme di quest’ultimo che vorrete concederci, malgrado sappiamo già come sia fatto.
Per questa ragione sono qui, ora.
Confiscate, confiscate pure, ma non troverete banconote o monete perché con esse i miei hanno acquistato tempo. Tutto quello che puoi srotolare innanzi a te come un tappeto rosso, perfino di sangue vivo colorato.
Non ci sono monili di qualsivoglia valore, nella valigia di mamma, poiché l’ha scambiati per una finestra sempre aperta nel mio cuore, da dove non perdere mai di vista le memorie che contano.
Non c'è nulla, ahimè, che potreste naturalmente definire prezioso.
Altrimenti, credete forse che sarei qui, oggi?
A ogni modo, con un po’ di sforzo di immaginazione, anzi molto, e una riduzione di apatia, anzi tanta, vi chiedo di ascoltare cosa offro.
Confiscate, confiscate pure il mio dito indice destro, quello con il quale un giorno ho puntato l’orizzonte più lontano dalla morte.
Ovvero, voi.
Usatelo, magari avrete più fortuna di me.
Coraggio, confiscate senza tema le mie palpebre, al cui riparo ho costruito alternative impossibili sotto forma di luoghi giammai perfetti, solo leggermente più sopportabili della via per raggiungerli. So che potrò farne a meno, ora, perché sognare a occhi aperti è diventato il solo umano vedere.
Confiscate il mio ginocchio sinistro, ma fatelo presto, però, adesso che sono di buon umore. Perché quando mi rattristo mi ritrovo spesso a pensare al giorno in cui me lo sono sbucciato, giocando con mio padre. Quando c’era mio padre.
Confiscate, confiscate anche a mani basse, che è solo un altro modo per raccontare un furto.
E, se proprio ne avete bisogno, confiscate ogni centimetro della mia pelle, affinché dall’istante in cui avrete terminato il vostro lavoro camminerò tra voi come il più nudo dei viventi.
Chissà se osservando a occhio altrettanto spoglio un cuore vibrante, un paio di polmoni in preda al respiro e un fiume di sangue scorrere testardo da nord a sud di una vita vedrete finalmente cosa offro.
E cosa state confiscando...