Storie di ragazzi difficili: io cammino
Storie e Notizie N. 1285
La scorsa notte un ragazzo di 14 anni, leggo con problemi di salute, è stato soccorso dagli agenti della polizia sul raccordo anulare, a Roma, mentre camminava da solo sulla corsia di sorpasso…
Cammino.
Anche ora, cammino.
Accecato dall’assurda illusione.
Di raggiungere la vita che corre.
E addirittura superarla.
Sono il ragazzo che disturba la normalità dell’attimo, dove tutto è concesso, purché nulla cambi davvero.
E sono anche la ragazza che non riesci a raccontare, disegnare, men che meno fotografare. Perché poi la coscienza banna tutto e poi valla a spiegare, quell’assenza.
Sono la donna ingombrante, l’eccesso fatta persona, sgradevole nell’aspetto quanto nel ricordo. Perché poi la memoria trascrive tutto e poi valla a spiegare, quella presenza.
E sono l’uomo stonato nella melodia come nel testo, che vorresti maledettamente non aver mai incontrato.
Amato.
Anche solo guardato.
Sono uno dei tanti a cui passi accanto, in un trascurabile frammento di viaggio.
Per buona sorte all’ultimo banco.
E per crudele destino a pochi centimetri, a portata d’occhi e di cuore.
Siamo le immagini di vite che devono necessariamente essere ritoccate.
Ridotte o moncate.
Perché va bene sfiorare emozioni e pensieri sopiti.
Giammai destarli del tutto.
Sono la sagoma sullo sfondo, ovvero ciò che la riempie.
E che, nel frastuono dei motori, avanza.
Spesso cade.
E, al meglio, talvolta si rialza.
Malgrado ciò accada sempre più di rado.
Cammino, sì.
Io cammino, pure adesso.
Illuso dall’assurda convinzione.
Di poter affiancare il mondo che sfreccia.
E perfino superarlo.
Nel mentre.
Hai visto che mai che qualcuno si liberi della macchina di cui egli stesso è prigioniero.
Per camminare insieme.
E magari fermarsi a prender fiato.
Leggi anche il racconto della settimana: Il segreto di Stefano
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Compra il mio ultimo libro, La truffa dei migranti, Tempesta Editore.
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Cammino.
Anche ora, cammino.
Accecato dall’assurda illusione.
Di raggiungere la vita che corre.
E addirittura superarla.
Sono il ragazzo che disturba la normalità dell’attimo, dove tutto è concesso, purché nulla cambi davvero.
E sono anche la ragazza che non riesci a raccontare, disegnare, men che meno fotografare. Perché poi la coscienza banna tutto e poi valla a spiegare, quell’assenza.
Sono la donna ingombrante, l’eccesso fatta persona, sgradevole nell’aspetto quanto nel ricordo. Perché poi la memoria trascrive tutto e poi valla a spiegare, quella presenza.
E sono l’uomo stonato nella melodia come nel testo, che vorresti maledettamente non aver mai incontrato.
Amato.
Anche solo guardato.
Sono uno dei tanti a cui passi accanto, in un trascurabile frammento di viaggio.
Per buona sorte all’ultimo banco.
E per crudele destino a pochi centimetri, a portata d’occhi e di cuore.
Siamo le immagini di vite che devono necessariamente essere ritoccate.
Ridotte o moncate.
Perché va bene sfiorare emozioni e pensieri sopiti.
Giammai destarli del tutto.
Sono la sagoma sullo sfondo, ovvero ciò che la riempie.
E che, nel frastuono dei motori, avanza.
Spesso cade.
E, al meglio, talvolta si rialza.
Malgrado ciò accada sempre più di rado.
Cammino, sì.
Io cammino, pure adesso.
Illuso dall’assurda convinzione.
Di poter affiancare il mondo che sfreccia.
E perfino superarlo.
Nel mentre.
Hai visto che mai che qualcuno si liberi della macchina di cui egli stesso è prigioniero.
Per camminare insieme.
E magari fermarsi a prender fiato.
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