Il ladro ucciso e il pensionato assassino: uno di noi
Storie e Notizie N. 1276
Leggo che il recente aggiornamento delle indagini contraddice quanto raccontato da Francesco Sicignano, il pensionato che ha assassinato il giovane con un colpo dritto al cuore. Non in camera da letto, come ha dichiarato l’omicida, bensì quando la vittima era sulle scale, all’esterno dell’appartamento.
Indi per cui il "ladro" è deceduto ancora prima di aver commesso effrazione, furto e quant’altro, prima ancora di esser definibile tale.
Ladro.
Nondimeno, in tempi assai sospetti, i soliti nordici baluardi dei confini condominiali hanno subito approfittato del facile cadavere e i valorosi concittadini di Vaprio d’Adda, in provincia di Milano, sono sfilati prontamente sotto il balcone dell’eroico proprietario al caloroso grido di "sei di uno di noi".
C’era una volta una partita.
No, è un film.
Anzi, scusa, è una danza.
Perdona la confusione, davvero, non è colpa mia.
E’ la storia che è un pasticcio.
Come una strada che ovunque conduca sia delimitata con pericolosa approssimazione.
Dove chi ha buoni occhiali viaggia nel mezzo.
E tutti gli altri respirano.
Finché non precipitano.
Al di fuori degli invidiati bordi della via.
Della vita.
Ma noi, chi siamo noi, in questo trambusto di esistenze che si contraddicono a vicenda?
E' una partita?
Allora siamo il pubblico, certo, quello che esulta alla prodezza del beniamino del momento.
E che inveisce sull’avversario reo della peggior colpa.
Quella di essere se stesso.
L’avversario.
Siamo quello stesso pubblico che ha aspettato ore per raggiungere gli spalti.
Che ha pagato salato per questi ultimi.
E che non è disposto ad accettare una sconfitta.
Soprattutto per trascurabili quisquilie come un’equa distribuzione delle umane vittorie, per esempio.
E' un film?
Allora siamo sempre il pubblico, ma anche i produttori della pellicola che brucia sul megaschermo.
Perché vogliamo.
Siamo gli sceneggiatori, affinché il buono reciti esattamente quel che noi sognammo nelle notti più travagliate.
Trucidando il vile cattivo.
Perché vogliamo il nostro.
Siamo la storia a cui il cinema si ispira omaggiando le gerarchie reali, tra chi meriti le luci e chi no.
Perché vogliamo il nostro nome sui titoli di coda.
E' una danza?
Allora siamo spettatori, di nuovo, sì, ma più che mai il solo e unico coreografo che tiri i fili.
Del movimento che oscilla da un angolo e l’altro del cuore.
Con tutto lo spazio del mondo a disposizione, perché sala vuota alla mercé del miglior offerente.
C’era una volta una danza, quindi.
No, è una partita.
Anzi, perdonami, è un film.
Scusa il disordine, sul serio, non ho colpa.
O forse sì.
Ma è il racconto che è confuso.
Quando uno di noi uccide… uno di noi.
Leggi altre storie sui diritti umani
Leggi anche il racconto di questa settimana: Il dono della lavatrice
Vieni ad ascoltarmi dal vivo Sabato 24 Ottobre ore 21, Teatro Planet, Via Crema 14, Roma: La truffa dei migranti, spettacolo di teatro narrazione, presentazione dell'omonimo libro (informazioni)
Leggo che il recente aggiornamento delle indagini contraddice quanto raccontato da Francesco Sicignano, il pensionato che ha assassinato il giovane con un colpo dritto al cuore. Non in camera da letto, come ha dichiarato l’omicida, bensì quando la vittima era sulle scale, all’esterno dell’appartamento.
Indi per cui il "ladro" è deceduto ancora prima di aver commesso effrazione, furto e quant’altro, prima ancora di esser definibile tale.
Ladro.
Nondimeno, in tempi assai sospetti, i soliti nordici baluardi dei confini condominiali hanno subito approfittato del facile cadavere e i valorosi concittadini di Vaprio d’Adda, in provincia di Milano, sono sfilati prontamente sotto il balcone dell’eroico proprietario al caloroso grido di "sei di uno di noi".
C’era una volta una partita.
No, è un film.
Anzi, scusa, è una danza.
Perdona la confusione, davvero, non è colpa mia.
E’ la storia che è un pasticcio.
Come una strada che ovunque conduca sia delimitata con pericolosa approssimazione.
Dove chi ha buoni occhiali viaggia nel mezzo.
E tutti gli altri respirano.
Finché non precipitano.
Al di fuori degli invidiati bordi della via.
Della vita.
Ma noi, chi siamo noi, in questo trambusto di esistenze che si contraddicono a vicenda?
E' una partita?
Allora siamo il pubblico, certo, quello che esulta alla prodezza del beniamino del momento.
E che inveisce sull’avversario reo della peggior colpa.
Quella di essere se stesso.
L’avversario.
Siamo quello stesso pubblico che ha aspettato ore per raggiungere gli spalti.
Che ha pagato salato per questi ultimi.
E che non è disposto ad accettare una sconfitta.
Soprattutto per trascurabili quisquilie come un’equa distribuzione delle umane vittorie, per esempio.
E' un film?
Allora siamo sempre il pubblico, ma anche i produttori della pellicola che brucia sul megaschermo.
Perché vogliamo.
Siamo gli sceneggiatori, affinché il buono reciti esattamente quel che noi sognammo nelle notti più travagliate.
Trucidando il vile cattivo.
Perché vogliamo il nostro.
Siamo la storia a cui il cinema si ispira omaggiando le gerarchie reali, tra chi meriti le luci e chi no.
Perché vogliamo il nostro nome sui titoli di coda.
E' una danza?
Allora siamo spettatori, di nuovo, sì, ma più che mai il solo e unico coreografo che tiri i fili.
Del movimento che oscilla da un angolo e l’altro del cuore.
Con tutto lo spazio del mondo a disposizione, perché sala vuota alla mercé del miglior offerente.
C’era una volta una danza, quindi.
No, è una partita.
Anzi, perdonami, è un film.
Scusa il disordine, sul serio, non ho colpa.
O forse sì.
Ma è il racconto che è confuso.
Quando uno di noi uccide… uno di noi.
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