Storie sull'ambiente: Il rifugiato climatico
Storie e Notizie N. 1264
Dal reale al posticcio e ritorno. Avanti. Indietro. E ancora.
Forse è così che funzionano queste pagine e io con esse.
Come una sorta di palla da tennis colpita da un lato e l’altro del campo, senza mai concedersi del tutto alle corde della racchetta, ovvero finire intrappolata come una preda sull’ennesima ragnatela.
Forse è l’unico modo che ha la palletta per continuar a esistere.
Così capita che la vera storia del primo profugo climatico apparso sulla nostra terra l’abbia già raccontata due anni addietro.
Indi per cui, visto che Ioane Teitiota e la sua famiglia sono stati appena espulsi dalla Nuova Zelanda per tornare in quel di Kiribati, dove per colpa del cambiamento climatico e il conseguente innalzamento del livello del mare rischiano di scomparire, non mi resta altra possibilità.
Che raccontare la falsa storia…
C’erano una volta un film e due soli spettatori.
Un film…
Diciamo pure un corto, narrazione di padre in figlio.
Il primo spinge il tasto play, sempre se questo è ciò che indichi l’astrusa iscrizione su di esso.
Dissolvenza, dal nero al bianco.
Sigla allegra e rallegrante, auspicabilmente tale.
Un cielo azzurro e terso sovrasta una città come tante.
Troppe.
Zumata su un edificio di media altezza, privo della boria di un grattacielo, ma non per questo meno convinto di esser comunque qualcosa di degno rispetto ai miseri rasoterra che non possono ambire a qualcosa di più che non sia il marciapiede stesso.
La camera stringe sui vetri di una finestra.
Primo effetto speciale e l’occhio di chi guarda segue quello di chi narra all’interno di un appartamento come molti.
Magari pochi.
L’inquadratura fa una carrellata dell’interno della vita spiata, ignara, incredibilmente quanto colpevolmente tale.
C’è roba sul muro, la solita.
Immagini d’arte rubata e immagini rubate con arte.
Ma c’è anche qualcosa che dev’essere importante per la mano sulla cinepresa che conti.
Altrimenti il video non mostrerebbe per un tempo decisamente più significativo lo strano oggetto.
Secondo effetto speciale.
Stavolta per gli invisibili e ignari protagonisti.
Le tre braccia di difforme lunghezza sono immobili e la staffetta è costante tra il prima e il dopo in cui non cambia nulla.
Eppure il tempo scorre sino alla fine, ovvero, è finito da tempo.
La camera abbandona lo strano oggetto con il suo prezioso spettacolo di numeri e lancette e raggiunge il vero obiettivo della pellicola.
Un’espressione vivente in uno specchio, attraverso il quale un signore osserva l’orologio e la finestra.
L’istante prigioniero e l’azzurro eterno.
Va tutto bene, per ora va tutto bene.
Per ora.
Perché ora è tutto quel che ho sempre creduto di avere, è la didascalia.
Subito prima di uno sfumare lento, dal bianco al nero.
Musica e titoli di coda.
“Papà”, chiede il bambino alieno al genitore, “cos’è che abbiamo appena visto?”
Gli umani.
E la storia che si raccontavano…
Leggi altre storie e articoli sull'ambiente
Dal reale al posticcio e ritorno. Avanti. Indietro. E ancora.
Forse è così che funzionano queste pagine e io con esse.
Come una sorta di palla da tennis colpita da un lato e l’altro del campo, senza mai concedersi del tutto alle corde della racchetta, ovvero finire intrappolata come una preda sull’ennesima ragnatela.
Forse è l’unico modo che ha la palletta per continuar a esistere.
Così capita che la vera storia del primo profugo climatico apparso sulla nostra terra l’abbia già raccontata due anni addietro.
Indi per cui, visto che Ioane Teitiota e la sua famiglia sono stati appena espulsi dalla Nuova Zelanda per tornare in quel di Kiribati, dove per colpa del cambiamento climatico e il conseguente innalzamento del livello del mare rischiano di scomparire, non mi resta altra possibilità.
Che raccontare la falsa storia…
C’erano una volta un film e due soli spettatori.
Un film…
Diciamo pure un corto, narrazione di padre in figlio.
Il primo spinge il tasto play, sempre se questo è ciò che indichi l’astrusa iscrizione su di esso.
Dissolvenza, dal nero al bianco.
Sigla allegra e rallegrante, auspicabilmente tale.
Un cielo azzurro e terso sovrasta una città come tante.
Troppe.
Zumata su un edificio di media altezza, privo della boria di un grattacielo, ma non per questo meno convinto di esser comunque qualcosa di degno rispetto ai miseri rasoterra che non possono ambire a qualcosa di più che non sia il marciapiede stesso.
La camera stringe sui vetri di una finestra.
Primo effetto speciale e l’occhio di chi guarda segue quello di chi narra all’interno di un appartamento come molti.
Magari pochi.
L’inquadratura fa una carrellata dell’interno della vita spiata, ignara, incredibilmente quanto colpevolmente tale.
C’è roba sul muro, la solita.
Immagini d’arte rubata e immagini rubate con arte.
Ma c’è anche qualcosa che dev’essere importante per la mano sulla cinepresa che conti.
Altrimenti il video non mostrerebbe per un tempo decisamente più significativo lo strano oggetto.
Secondo effetto speciale.
Stavolta per gli invisibili e ignari protagonisti.
Le tre braccia di difforme lunghezza sono immobili e la staffetta è costante tra il prima e il dopo in cui non cambia nulla.
Eppure il tempo scorre sino alla fine, ovvero, è finito da tempo.
La camera abbandona lo strano oggetto con il suo prezioso spettacolo di numeri e lancette e raggiunge il vero obiettivo della pellicola.
Un’espressione vivente in uno specchio, attraverso il quale un signore osserva l’orologio e la finestra.
L’istante prigioniero e l’azzurro eterno.
Va tutto bene, per ora va tutto bene.
Per ora.
Perché ora è tutto quel che ho sempre creduto di avere, è la didascalia.
Subito prima di uno sfumare lento, dal bianco al nero.
Musica e titoli di coda.
“Papà”, chiede il bambino alieno al genitore, “cos’è che abbiamo appena visto?”
Gli umani.
E la storia che si raccontavano…
Leggi altre storie e articoli sull'ambiente
Visita le pagine dedicate ai libri:
Libri sulla diversità, libri sul razzismo, libri sulla diversità per ragazzi e bambini, libri sul razzismo per ragazzi e bambini, libri sull'adolescenza e romanzi surreali per ragazzi