Storie sui diritti umani: La prima donna e le parole inutili
Storie e Notizie N. 1267
Malgrado l’appello contro la pena di morte lanciato negli USA dal papa, titolano molti giornali nostrani, la prima donna dopo 70 anni è stata giustiziata con l’iniezione letale nello stato della Georgia.
Kelly Renee Gissendaner era accusata dell’omicidio del marito, peraltro deceduto per mano dell’amante di lei, e a nulla sono servite le richieste di clemenza da parte degli stessi figli della donna…
Le parole sono inutili.
Da sole.
Sono solo.
Parole.
E hai voglia a scriverle e raccontarle.
Gridarle a perdifiato e a mormorare tra te e te che l’hai detta grossa, bella e profonda.
Guarda, a scanso di equivoci e contro il mio stesso interesse, lo metto or ora nero su bianco: lo sono per prime queste che leggi.
Frasi prive di valore.
Fermati pure qui e lo capirò. Hai ragione, avrai avuto le tue ragioni, abbiamo ragione tutti, se ci pensi.
Il fatto è che un omicidio che diventi narrazione per il grande schermo, come un amore che contraddica i dettami della morale acclarata, non è mai roba per pochi attori.
L’ho imparato da mia nonna al cinema.
Luce, la gente si alzava ma lei rimaneva lì e leggeva, leggeva tutto.
I titoli di coda sono importanti, diceva. Altrimenti li avrebbero messi all’inizio.
Che volete farci, vecchia scuola, diffidenza verso l’alto ed estrema cura dei particolari.
Col tempo, un po’ per emulazione, ho fatto mia la medesima abitudine.
Leggere.
Leggere tutto.
Tutti i nomi.
Di coloro che hanno dato il proprio contributo allo spettacolo.
C’è l’attrice protagonista che muore alla fine, la mano che la uccide e coloro che patiscono la perdita.
Ma non ci si guadagna il telo che conta con così poco.
Senza un ordine preciso, c’è l’autista del furgone che ha trasportato il veleno e ci sono ovviamente i secondini del braccio della morte, ci sono gli addetti alle pulizie che hanno lavato via l’odore di quest’ultima, quella precedente.
Ci sono, è chiaro, i fabbricatori della mortale miscela, i giudici e la giuria, i testimoni e chiunque in qualche modo si senta tale.
Ci sono, senza sorpresa, tutti coloro che in un giorno ormai lontano hanno intonato gli inni dell'occhio per occhio.
Ci sono altresì gli operai che al riparo di un’apparente inconsapevolezza hanno lavorato alla catena di montaggio che ha sfornato siringhe e fiale, vetro per le stesse, lenzuola e cuscino per il lettino, il lettino medesimo e ogni altro frammento che serva all’uopo.
Uccidere l’uccisore.
C’è financo l’ultima parrucchiera che ha tagliato i capelli alla condannata, l’ultimo cuoco che le ha cucinato l’ultimo pasto, l’ultima persona che l’ha fatta sentire colpevole e l’ultimo sguardo che nel suo volto ha letto reale innocenza.
E insieme a tante altre ultime istanze di una vita ormai strozzata ci sono le prime che a lei conducono.
La prima volta in cui la donna ha incontrato il marito assassinato, il primo giorno che hanno fatto all’amore, la prima volta che hanno creduto di poterlo fare per sempre e il primo istante in cui hanno smesso di sperarlo.
La prima donna, la prima dopo 70 anni è stata immolata sull’altare della terra dei liberi, come altre parole hanno definito sempre in questi giorni.
Nulla di male, lo dico stavolta a mio vantaggio.
Le parole sono belle.
Ma il finale del film dipenderà sempre da cosa faranno quei nomi scritti nei titoli coda.
Il mio c’è e pure il tuo.
Basta leggere fino in fondo una volta tornata la luce…
Leggi altre storie sui diritti umani
Vieni ad ascoltarmi dal vivo Sabato 24 Ottobre ore 21, Teatro Planet, Via Crema 14, Roma: La truffa dei migranti, spettacolo di teatro narrazione, presentazione dell'omonimo libro (informazioni)
Malgrado l’appello contro la pena di morte lanciato negli USA dal papa, titolano molti giornali nostrani, la prima donna dopo 70 anni è stata giustiziata con l’iniezione letale nello stato della Georgia.
Kelly Renee Gissendaner era accusata dell’omicidio del marito, peraltro deceduto per mano dell’amante di lei, e a nulla sono servite le richieste di clemenza da parte degli stessi figli della donna…
Le parole sono inutili.
Da sole.
Sono solo.
Parole.
E hai voglia a scriverle e raccontarle.
Gridarle a perdifiato e a mormorare tra te e te che l’hai detta grossa, bella e profonda.
Guarda, a scanso di equivoci e contro il mio stesso interesse, lo metto or ora nero su bianco: lo sono per prime queste che leggi.
Frasi prive di valore.
Fermati pure qui e lo capirò. Hai ragione, avrai avuto le tue ragioni, abbiamo ragione tutti, se ci pensi.
Il fatto è che un omicidio che diventi narrazione per il grande schermo, come un amore che contraddica i dettami della morale acclarata, non è mai roba per pochi attori.
L’ho imparato da mia nonna al cinema.
Luce, la gente si alzava ma lei rimaneva lì e leggeva, leggeva tutto.
I titoli di coda sono importanti, diceva. Altrimenti li avrebbero messi all’inizio.
Che volete farci, vecchia scuola, diffidenza verso l’alto ed estrema cura dei particolari.
Col tempo, un po’ per emulazione, ho fatto mia la medesima abitudine.
Leggere.
Leggere tutto.
Tutti i nomi.
Di coloro che hanno dato il proprio contributo allo spettacolo.
C’è l’attrice protagonista che muore alla fine, la mano che la uccide e coloro che patiscono la perdita.
Ma non ci si guadagna il telo che conta con così poco.
Senza un ordine preciso, c’è l’autista del furgone che ha trasportato il veleno e ci sono ovviamente i secondini del braccio della morte, ci sono gli addetti alle pulizie che hanno lavato via l’odore di quest’ultima, quella precedente.
Ci sono, è chiaro, i fabbricatori della mortale miscela, i giudici e la giuria, i testimoni e chiunque in qualche modo si senta tale.
Ci sono, senza sorpresa, tutti coloro che in un giorno ormai lontano hanno intonato gli inni dell'occhio per occhio.
Ci sono altresì gli operai che al riparo di un’apparente inconsapevolezza hanno lavorato alla catena di montaggio che ha sfornato siringhe e fiale, vetro per le stesse, lenzuola e cuscino per il lettino, il lettino medesimo e ogni altro frammento che serva all’uopo.
Uccidere l’uccisore.
C’è financo l’ultima parrucchiera che ha tagliato i capelli alla condannata, l’ultimo cuoco che le ha cucinato l’ultimo pasto, l’ultima persona che l’ha fatta sentire colpevole e l’ultimo sguardo che nel suo volto ha letto reale innocenza.
E insieme a tante altre ultime istanze di una vita ormai strozzata ci sono le prime che a lei conducono.
La prima volta in cui la donna ha incontrato il marito assassinato, il primo giorno che hanno fatto all’amore, la prima volta che hanno creduto di poterlo fare per sempre e il primo istante in cui hanno smesso di sperarlo.
La prima donna, la prima dopo 70 anni è stata immolata sull’altare della terra dei liberi, come altre parole hanno definito sempre in questi giorni.
Nulla di male, lo dico stavolta a mio vantaggio.
Le parole sono belle.
Ma il finale del film dipenderà sempre da cosa faranno quei nomi scritti nei titoli coda.
Il mio c’è e pure il tuo.
Basta leggere fino in fondo una volta tornata la luce…
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