Storie di immigrati: Lo straniero dal mare e l'uomo sulla riva

Storie e Notizie N. 1253

Un uomo emerge dalle acque.
Pochi passi ed è sulla riva.
Già, pochi passi.
Perché questa è la distanza, altro che chiacchiere.
Un altro si avvicina.
Un breve istante.
E gli è accanto sulla riva.
Certo, istante.
Perché questo è il tempo che conti davvero.
“Chi sei?” chiede il secondo.
“Sono uno straniero.”
“Piacere”, fa l’altro.
“Piacere, hai detto? Cos’è, uno scherzo?”
“No, non lo è. Perché me lo domandi?”
“Perché non avrei mai creduto che…”
“Guarda, ti fermo subito”, lo interrompe l’uomo dal lato sicuro della costa, “so bene a cosa ti riferisci. A quella storia della terra nostra, di ognuno al paese suo, ma è una menzogna, non so dove tu l’abbia letta o sentita dire, ma lo sappiamo che qui siamo tutti abusivi, dalla nascita, per definizione. Le nostre cosiddette nazioni sono costruite sul furto della terra altrui, sullo sterminio dei nativi, sullo sfruttamento delle ricchezze naturali che possiamo ammirare solo in un video ad alta definizione su Youtube…”
“Sì, questo lo so anch’io, ma c’è anche questa cosa del…”
“Del terrorismo, stavi per dire? Ascolta, ma ti sembra possibile che noi altri si possa accusare qualcuno neppure di aver effettivamente suscitato terrore nel prossimo, ma addirittura di averne anche solo le intenzioni? Noi siamo i maestri della paura, siamo i signori dell’incubo, le madri di tutte le umane fobie. Da generazioni insegniamo ai nostri bambini prima a temere, che amare, prima a diffidare, che sperare, prima a emarginare, che comprendere. E abbiamo appreso la lezione così bene da esserne talmente ossessionati da proiettare l’immagine di noi stessi sugli altri, certi che anche loro siano brutti quanto noi. Ovvero, terrorizzati all’idea…”
“Ho capito, ma c’è pure il problema della…”
Religione, lo so, è roba nota. Ti sarà arrivata di sicuro una nostra fantomatica avversione per il credo altrui, ma anche questa è una balla, amico mio, tra le più paradossali, in effetti. No, dico, siamo ancora oggi prigionieri di una concezione della fede a dir poco medievale, dove publica lapidazione, tradizionale o digitale che sia, è ancora lo sport preferito del credente canonico. Ancora non abbiamo risolto materiale scontato per i nostri terapeuti, come il rapporto tra sessualità e culto e intersezioni eliminate da secoli da società degne di essere definite moderne come quello tra chiesa e stato. Con quale autorevolezza potremmo, non dico giudicare, ma anche solo parlare degli altri?”
“Sì, d’accordo, ma…”
“Non c’è ma che tenga, perdonami se ti interrompo ancora. Anzi, perdonami e basta, di tutto.”
“Di tutto cosa?”
“Di tutte le assurdità che avrai potuto sentire su di noi, prima di arrivare qui. Perdonaci, perché noi siamo un popolo infinitamente diviso. Facciamo di tutto pur di isolarci l’uno dall’altro. Nazioni, regioni, province, città, quartieri, palazzi, appartamenti, il buco stesso che può essere la nostra camera, il fragile regno sotto le coperte del letto, la cieca vita che abbiamo vissuto finora protetta da eserciti di illusioni che nascondiamo nella pancia. Siamo un popolo ignorante, incredibilmente ignorante. Non solo crediamo solo a quel che vediamo, ma facciamo anche di tutto, giorno dopo giorno, pur di vedere sempre meno. Siamo un popolo che, nei fatti, si dimostra capace di discriminare qualsiasi cosa transiti innanzi ai suoi occhi. Dalla punta dei capelli al tallone del piede, colori, forme, suoni e quant’altro, tutto diviene all’istante informazione necessaria e sufficiente per catalogare il prossimo, presunto uguale o indubbio diverso che sia. Nemici, intrusi, cattivi, incivili, pericolosi, criminali, immorali, li sentiamo ovunque, ci basta aprire gli occhi…”
L’uomo che poco prima era affiorato dalle onde del mare si ammutolisce e guarda l’altro con un’espressione tra il perplesso e l’ammirato.
“Be’”, fa con sollievo nella voce, “tutto mi sarei aspettato tranne una tale accoglienza. Sono contento, come ti chiami?”
L’altro si guarda in giro, quindi solleva le proprie mani e le osserva come se le vedesse per la prima volta.
“Non ne ho la più pallida idea”, risponde inaspettatamente smarrito e con flebile speranza aggiunge: “Ma vorrei disperatamente esistere davvero…”

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