Storie di immigrati in Italia: cosa non puoi togliere
Storie e Notizie N. 1224
Leggo che Sobuj Khalifa, un uomo di 32 anni, ha salvato ieri una donna di 55 che si era gettata nel fiume Tevere.
Si da il caso che si tratti di un cittadino del Bangladesh.
Uno straniero, un extracomunitario, un immigrato.
Per giunta privo di documenti in regola.
Quindi anche un clandestino.
Quale premio la polizia gli ha rilasciato il permesso di soggiorno…
Dicevano.
Oh, quante ne dicevano.
Dicevano che una volta laggiù mi avrebbero tolto molto.
Il nome, per dirne una.
Sostituito da una marea di epiteti, il più delle volte oltraggianti.
Nelle intenzioni, se non nell’esatta accezione.
D’altra parte, come la magia, anche le storie nascono sempre nelle intenzioni.
Dicevano, davvero.
Ne dicevano a iosa.
Dicevano che finalmente arrivato mi avrebbero tolto i diritti.
Niente di speciale, il minimo umano.
Quel che rimane.
Che dovrebbe restare.
Malgrado teniate particolarmente ad appropriarvi di gran parte della mia vita.
Dicevano, mi rammento.
Dicevano eccome.
Che in tanti avrebbero cercato di offuscare il mio passato e, allorché mi fossi voltato per impedire l’abuso, avrebbero saccheggiato a mani basse l’opposto orizzonte.
Leggi pure come il più prezioso degli approdi per gli emigranti obbligati.
In breve, futuro.
Costringendomi al fine in una cella composta di sbarre indurite dal meno scalfibile tra i metalli moderni.
Il presente.
Che per te, solo per te, deve esser sempre lo stesso.
Affinché il tuo oggi nutra il nostro sempre, la sadica didascalia.
Dicevano, lo so bene.
Dicevano con premura, in effetti.
Che avrebbero fatto di tutto per sfinirmi con la peggiore illusione.
Quella che chiunque, addirittura il più debole e ottuso tra i persecutori di questo mondo, sarebbe stato capace di togliere.
Quel che non può esser tolto.
Se l’hai portato con te.
Da ovunque tu sia partito.
Dicevano e mi avevano quasi convinto.
Di non aver più nulla.
Per mia fortuna siamo sopravvissuti.
Il sottoscritto.
La mia umanità.
Il mio coraggio e l’amore per i miei simili.
Per mia fortuna.
E, ma tu guarda il caso, di una donna nel fiume.
Leggo che Sobuj Khalifa, un uomo di 32 anni, ha salvato ieri una donna di 55 che si era gettata nel fiume Tevere.
Si da il caso che si tratti di un cittadino del Bangladesh.
Uno straniero, un extracomunitario, un immigrato.
Per giunta privo di documenti in regola.
Quindi anche un clandestino.
Quale premio la polizia gli ha rilasciato il permesso di soggiorno…
Dicevano.
Oh, quante ne dicevano.
Dicevano che una volta laggiù mi avrebbero tolto molto.
Il nome, per dirne una.
Sostituito da una marea di epiteti, il più delle volte oltraggianti.
Nelle intenzioni, se non nell’esatta accezione.
D’altra parte, come la magia, anche le storie nascono sempre nelle intenzioni.
Dicevano, davvero.
Ne dicevano a iosa.
Dicevano che finalmente arrivato mi avrebbero tolto i diritti.
Niente di speciale, il minimo umano.
Quel che rimane.
Che dovrebbe restare.
Malgrado teniate particolarmente ad appropriarvi di gran parte della mia vita.
Dicevano, mi rammento.
Dicevano eccome.
Che in tanti avrebbero cercato di offuscare il mio passato e, allorché mi fossi voltato per impedire l’abuso, avrebbero saccheggiato a mani basse l’opposto orizzonte.
Leggi pure come il più prezioso degli approdi per gli emigranti obbligati.
In breve, futuro.
Costringendomi al fine in una cella composta di sbarre indurite dal meno scalfibile tra i metalli moderni.
Il presente.
Che per te, solo per te, deve esser sempre lo stesso.
Affinché il tuo oggi nutra il nostro sempre, la sadica didascalia.
Dicevano, lo so bene.
Dicevano con premura, in effetti.
Che avrebbero fatto di tutto per sfinirmi con la peggiore illusione.
Quella che chiunque, addirittura il più debole e ottuso tra i persecutori di questo mondo, sarebbe stato capace di togliere.
Quel che non può esser tolto.
Se l’hai portato con te.
Da ovunque tu sia partito.
Dicevano e mi avevano quasi convinto.
Di non aver più nulla.
Per mia fortuna siamo sopravvissuti.
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Per mia fortuna.
E, ma tu guarda il caso, di una donna nel fiume.
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