Storie di razzismo: voleva accarezzare il cane
Storie e Notizie N. 1179
Leggo che Ioan Popa, 52 anni, è stato ammazzato di botte da un giovane di 22, milanese. Secondi i carabinieri, nella notte dello scorso 14 ottobre, davanti ad un pub di Cusano Milanino, l’uomo è stato massacrato perché voleva accarezzare il cane del ragazzo, poi coperto dagli amici per nascondere l’omicidio.
Tutto questo e molto altro, malgrado l’enorme mantello di notizie sulla tragedia di Parigi, accade e continua ad accadere nel silenzio generale.
Nel silenzio.
Di chi osserva, ma, malauguratamente per gli ultimi di questo mondo, non ha voce.
Lassù, in alto.
Per irradiare l’etere di contagiosi je suis…
Come il cane.
Io sono il cane, già.
Il cane della carezza mancata.
Quello che ha visto tutto e, a differenza di te, che ti liberi di ogni goccia di sangue rubato con estrema facilità, sento il peso di tutto sulla schiena.
E’ colpa mia.
La faccio mia.
In effetti è così, se non fossi stato lì, l’altro non avrebbe violato il confine.
Per una carezza.
E se c’è gente che muore per tale effimero contatto con altrettanto trascurabile creatura, capisci quanto sia vana l’ossessione per le distanze?
Tra noi?
Sì, sono il cane.
E mi prendo la colpa.
Solo perché ero lì.
E non ho fatto nulla per fermare la morte.
Sono parte di essa, come il frammento di un puzzle.
E’ così, credimi, non ci sono particolari fuori campo e personaggi di contorno, orpelli scenografici trascurabili e dimenticabili colori sullo sfondo.
E’ un assassinio, il quadro.
E laddove il viaggio verso la fine di una vita acceleri all’istante in un vortice di ottusa collera, è come ritrovarsi vittima del risucchio di un putrido pozzo.
Ci trascina tutti con sé.
E allora io sono colpevole.
Io, il cane.
Ma anche te e l’altro.
Quello che guarda, o si limita ad ascoltare.
Quello che non trova il coraggio.
E quello che non sa proprio dove cercarlo.
Quello che colpisce per primo.
E quello che sapeva, oh se sapeva, che prima o poi sarebbe accaduto.
Confessione silente, questa, lo so bene.
I cani vedono, ma non parlano.
Come i muri e le finestre, le nuvole e le foglie, le strade e la pioggia.
Come tutto il mondo mero spettatore.
Ma questo non vuol dire che non sappiamo scrivere.
E’ solo che le nostre parole vanno cercate in basso.
Cadono, perché troppo pesanti.
Eccole, sono ancora tutte lì.
Sulla terra.
Leggo che Ioan Popa, 52 anni, è stato ammazzato di botte da un giovane di 22, milanese. Secondi i carabinieri, nella notte dello scorso 14 ottobre, davanti ad un pub di Cusano Milanino, l’uomo è stato massacrato perché voleva accarezzare il cane del ragazzo, poi coperto dagli amici per nascondere l’omicidio.
Tutto questo e molto altro, malgrado l’enorme mantello di notizie sulla tragedia di Parigi, accade e continua ad accadere nel silenzio generale.
Nel silenzio.
Di chi osserva, ma, malauguratamente per gli ultimi di questo mondo, non ha voce.
Lassù, in alto.
Per irradiare l’etere di contagiosi je suis…
Come il cane.
Io sono il cane, già.
Il cane della carezza mancata.
Quello che ha visto tutto e, a differenza di te, che ti liberi di ogni goccia di sangue rubato con estrema facilità, sento il peso di tutto sulla schiena.
E’ colpa mia.
La faccio mia.
In effetti è così, se non fossi stato lì, l’altro non avrebbe violato il confine.
Per una carezza.
E se c’è gente che muore per tale effimero contatto con altrettanto trascurabile creatura, capisci quanto sia vana l’ossessione per le distanze?
Tra noi?
Sì, sono il cane.
E mi prendo la colpa.
Solo perché ero lì.
E non ho fatto nulla per fermare la morte.
Sono parte di essa, come il frammento di un puzzle.
E’ così, credimi, non ci sono particolari fuori campo e personaggi di contorno, orpelli scenografici trascurabili e dimenticabili colori sullo sfondo.
E’ un assassinio, il quadro.
E laddove il viaggio verso la fine di una vita acceleri all’istante in un vortice di ottusa collera, è come ritrovarsi vittima del risucchio di un putrido pozzo.
Ci trascina tutti con sé.
E allora io sono colpevole.
Io, il cane.
Ma anche te e l’altro.
Quello che guarda, o si limita ad ascoltare.
Quello che non trova il coraggio.
E quello che non sa proprio dove cercarlo.
Quello che colpisce per primo.
E quello che sapeva, oh se sapeva, che prima o poi sarebbe accaduto.
Confessione silente, questa, lo so bene.
I cani vedono, ma non parlano.
Come i muri e le finestre, le nuvole e le foglie, le strade e la pioggia.
Come tutto il mondo mero spettatore.
Ma questo non vuol dire che non sappiamo scrivere.
E’ solo che le nostre parole vanno cercate in basso.
Cadono, perché troppo pesanti.
Eccole, sono ancora tutte lì.
Sulla terra.
Visita le pagine dedicate ai libri:
(Libri sulla diversità, libri sul razzismo, libri sulla diversità per ragazzi e bambini, libri sul razzismo per ragazzi e bambini)