Storie di razzismo: funerale delle parole
Storie e Notizie N. 994
Secondo i paleontologi del Museo Nazionale Georgiano a Tbilisi, autori della scoperta dell’ominide
Tutti pronipoti di un solo incredibilmente vegliardo nonnino.
Vorrei, nel mio piccolo, omaggiare quest’ultimo con una sorta di funerale, oltremodo postumo. Nell’elogio funebre, vorrei anche ricordare quelle parole che, grazie alla vita più che alla morte del vetusto antenato, non ci serviranno più.
Ovverosia, muoiono con lui.
Signore e signori,
parenti, amici o solo conoscenti della buon’anima, vorrei qui ringraziare dal profondo del cuore il nostro amato ominide di Dmanisi.
Grazie, uomo primitivo.
Davvero, grazie.
Ti sono grato di esistere, è proprio il caso di dirlo.
Brava persona? Un poco di buono? Di cattiva creanza o gentili costumi? Nessuno può sostenere l’uno o l’altro sul tuo conto.
Quello che sappiamo è che il segno del tuo passaggio sulla terra vale molto di più del trascrivere un semplice nome nell’innumerabile elenco di vite che ci hanno preceduto.
Perché l’incisione in quello stesso elenco, ne cancella infinite altre, di successioni di lettere, più o meno scomode, indubbiamente pericolose, dal nostro oberato dizionario comune.
Dicesi parole.
Ecco perché, se compiango insieme a voi il caro ominide, al contempo con vivo piacere vi annuncio la dipartita di alcune tra queste ultime.
Da seppellire nel cimitero dei vocaboli ormai inutili.
Razza, c’era già, la troveranno lì.
Così come tutti i derivati: razzismo, razzista, razziale e via razziando.
Nazionalità? Inutile, da oggi. Dicasi lo stesso per nazione, nazioni e più che mai nazionalista.
Indi per cui Italo qualcosa, Afro qualcos’altro divengono orpelli senza valore.
So che le conseguenze saranno problematiche, ma doverose.
Mi riferisco ai documenti, è chiaro.
Nome e cognome, d’accordo. Residenza, va bene. Altezza e segni particolari, convengo. Tuttavia, per specificare l’individuo dovremo basarci su qualcosa di più importante e soprattutto reale, piuttosto che deliranti connotazioni frutto della nostra paura. Che so, magari per conoscere davvero il proprietario della carta di identità.
Di colore, questa espressione, poi, sarà solo un ricordo.
Sì, lo so, sono due parole.
Ma, è un vantaggio, no? Se ne perdono due al prezzo di una.
Di conseguenza, nero, giallo, rosso, bianco e ogni altra tonalità, laddove associate alla cute, non avranno maggiore significanza se al posto di quest’ultima leggeremo maglietta, scarpe, mutande, eccetera.
Altro risparmio di inchiostro, di fiato e soprattutto di violenze e sofferenze gratuite.
E come in una reazione a catena, altre parole, che l’ottusità contingente ha partorito, cadranno come i pezzi del domino.
Comunitari ed extra, clandestini e cittadini, stanziali e migranti, nativi e stranieri, gli opposti si annulleranno come in una liberatoria equazione di pace.
Svuotati pancia e testa di tali corruttivi lemmi, inizieremo finalmente a comprendere quello che ci stavamo perdendo.
Una sola specie.
Eredi di una sola madre.
E di un unico padre.
Hai visto mai che siamo fratelli e sorelle?
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