La rivoluzione che vorrei
Nonostante il mio punto di vista sia vicino alle motivazioni che hanno spinto Santoro ad organizzare la diretta/manifestazione di ieri sera, per quanto riguarda i contenuti – da sempre l’elemento più importante – gli unici interventi che ho apprezzato veramente sono quello di Daniele Luttazzi e soprattutto quello di Mario Monicelli.
Il primo, con la metafora dell’Italia sodomizzata e contenta, per chi non l’avesse ancora chiaro, è l’ennesima dimostrazione di cosa voglia dire fare satira.
Il secondo ha rilasciato un messaggio da salvare nel più prezioso hard disk della nostra memoria.
Tra le cose che ha detto ne ricordo due: “La speranza è una trappola inventata dai padroni…”
La quale è ovviamente una acuta provocazione, in quanto subito dopo il maestro aggiunge: “Spero che il nostro film finisca con quello che in Italia non c’è mai stato… una bella rivoluzione…”
Questo racconto è presente nel mio prossimo libro, Il dono della diversità, edito dalla Casa editrice Tempesta di Roma.
La Storia (Al contrario di quel che viene raccontato in rete, il seguente testo è mio, non del grande Monicelli...):
La rivoluzione che vorrei
La rivoluzione che vorrei sarebbe una vera rivoluzione.
La rivoluzione che vorrei cambierebbe le cose radicalmente.
La rivoluzione che vorrei taglierebbe via completamente l’albero malato che è cresciuto su questa terra.
Non solo i frutti marciti ma tutta la pianta.
Chi ha sbagliato e chi non ha fatto nulla per fermarlo.
Chi ha rubato e chi è rimasto a guardare perché la cosa non lo toccava personalmente.
Chi ha rovinato questo paese e chi si è arricchito comunque recitando il ruolo del prode antagonista.
La rivoluzione che vorrei farebbe emergere le vere differenze tra la gente.
La rivoluzione che vorrei mostrerebbe chi è coerente con quel che dice e chi no.
La rivoluzione che vorrei non sarebbe di sinistra o di destra, sarebbe prima di tutto giusta.
Giusta con chi finora ha sfruttato l’ignoranza del popolo per farsi i propri interessi e con chi ha compiuto lo stesso delitto accusando l’altro di quest’ultimo.
Giusta con chi ha pagato con la propria pelle le conseguenze di questa ignobile messa in scena.
Giusta con chi ha avuto il coraggio di dire di no, anche quando il sì era il manifesto dei buoni.
La rivoluzione che vorrei azzererebbe tutto e ognuno di noi dovrebbe ricominciare da capo.
La rivoluzione che vorrei avrebbe come unico riferimento la realtà di tutti i giorni.
La rivoluzione che vorrei avrebbe come primo riferimento la persona più povera nel paese.
Di conseguenza tutti i politici guadagnerebbero esattamente quello che gli basta per campare, perché rappresentare il popolo sarebbe già un onore.
I giornalisti avrebbero l’unico obbligo di essere onesti intellettualmente.
Gli artisti avrebbero il privilegio di essere ascoltati esclusivamente per merito del loro talento.
La rivoluzione che vorrei non avrebbe bisogno di scrittori impegnati, di intellettuali illuminati e di eroi esiliati perché la gente sarebbe finalmente in grado di pensare con la propria testa.
La rivoluzione che vorrei non avrebbe bisogno di miracolose manifestazioni organizzate su facebook perché la gente sarebbe sempre in piazza, ogni giorno.
La rivoluzione che vorrei non avrebbe bisogno dei leader, dei portavoce, dei numeri uno perché ognuno di noi sarebbe quell’uno.
La rivoluzione che vorrei è solo un sogno per il quale, come dice Monicelli, non ho alcuna speranza.
Perché la rivoluzione che vorrei, in tanti, anche dalla parte dove meno te l’aspetti, la temono come il peggior incubo…
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