Storie di razzismo: E’ tutta colpa degli stranieri
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Questa mattina sono andato al mio municipio, a Roma, per il rinnovo della carta di identità. Avevo letto sul sito del comune che occorreva portare 3 foto tessera e un altro documento valido (Es. patente), oltre alla carta in scadenza.
Sempre on line avevo letto che la prassi prevedeva il pagamento di una tassa e, compilato il modulo di richiesta, il nuovo documento sarebbe stato consegnato in giornata.
Per esperienza, tutte le volte che devo avere a che fare con qualche pratica di questo tipo mi prende l’ansia, immaginandomi file interminabili, confusione, certificati indispensabili che ho dimenticato e che devo tornare a casa a prendere, ecc.
Un incubo, insomma. Non so se avete presente la mitica scena del film Le dodici fatiche di Asterix, in cui quest’ultimo e Obelix si perdono in una specie di girone dantesco alla ricerca del fantomatico lasciapassare A38, necessario per ottenere ciò che cercano.
Invece, giunto alla meta, la missione inizia subito nel migliore dei modi, con un’inaspettata sorpresa. L’addetta all’ufficio informazioni giustappunto mi informa che, se il documento non è danneggiato, per il rinnovo è sufficiente andare allo sportello 18, farsi fare un timbro e poi attendere la carta di identità con proroga allo sportello numero 8. Tutto gratis.
Ero contento, mentre appoggiato al bancone, verso le nove e un quarto mi sono messo in attesa che l’addetto mi portasse il mio lasciapassare A38.
Alle dieci meno un quarto capirete che ho iniziato a pensare di aver cantato vittoria troppo presto.
Alle dieci ho naturalmente iniziato a ritenermi un illuso.
Alle dieci e un quarto, vedendo che nel frattempo l’ufficio si era riempito completamente di gente, quasi tutti intorno al famigerato sportello 8, mi sono ricreduto del tutto.
C’era chi sbuffava, chi imprecava, chi telefonava per avvertire del proprio ritardo, c’era chi chiedeva continuamente quanto ci volesse per mettere un timbro e c’erano gli stranieri.
Li avrete notati anche voi, immagino. Carnagione olivastra, abiti esotici, accenti insoliti, avete presente, no? In particolare, proprio davanti allo sportello 8 c’era una fila di sedie messe lì apposta per i non Italiani che devono richiedere qualche documento.
Non appena noto questo pezzo di mondo di fuori tutto concentrato in pochi metri ho sentito alla mia sinistra un uomo anziano lamentarsi della confusione e della folla con l’impiegato allo sportello numero 7.
“Ci vorrebbe Brunetta, qui…” fa il vecchietto.
Ed ecco cosa ha risposto il funzionario del comune, a voce ben udibile dalla piccola folla in attesa del proprio documento rinnovato o prorogato: “Ma quale Brunetta, guardi che qui si lavora. Glielo dico io di chi è la colpa. Li vede quelli là dietro? (gli stranieri) Rifugiati, nullafacenti, perdigiorno, vengono qui e noi gli diamo pure la carta di identità italiana… Guardi quanti sono! Ma come fai a combattere con questo? Tutta colpa del papa, che dice ‘venite a me’…”
Ora, a parte il fatto che un attimo prima un probabile dirigente si era giustificato con una signora che protestava per la lentezza dicendole che metà degli addetti agli sportelli erano assenti, il vero paradosso è che il geniale esperto di immigrazione, il funzionario nell’esercizio delle sue funzioni, ha dato la sua acuta spiegazione del caos burocratico nostrano mentre si stava tranquillamente mangiando una merendina…
No, dico, ma in quale paese del mondo un impiegato seduto allo sportello, con la mancanza di personale e la folla in attesa si permetterebbe di fare un spuntino davanti a tutti?
E in quale paese del mondo quella stessa folla accetterebbe la cosa come normale?
In quell’istante ho pensato due cose:
1. Ecco l’identikit dell’elettore medio di Berlusconi: un imbecille che da la colpa della propria inettitudine agli stranieri.
2. Quella massa di gente che osserva queste scene e continua a votare il nostro premier se lo merita tutto questo schifo.
Per questa ragione, quando alle undici meno dieci è arrivato il mio documento, me ne sono andato senza commentare.
“Lo scrivo sul blog”, ho pensato.
Uno degli ultimi modi che mi sono rimasti per esprimere il mio dissenso.
Oltre a scrivere e raccontare storie, naturalmente…
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